[2022-03] Aliens vs Predators: AVP Ultimate Prey

Stavolta il ritardo è “solo” di circa tre mesi, visto che questo romanzo doveva uscire a metà dicembre 2021 e invece è apparso nel mio lettore Kindle il 1° marzo 2022 (acquistato in pre-vendita già dal settembre 2021), comunque l’importante è che sia finalmente uscita l’antologia Aliens vs Predators: AVP Ultimate Prey, a cura di Jonathan Maberry e Bryan Thomas Schmidt.

Dopo l’antologia dedicata agli xenomorfi, l’ottima Bug Hunt (2017), e quella dedicata ai cacciatori spaziali, la deludente If it Bleeds (2017), ecco per la prima volta un’antologia… multi-specie! Purtroppo assolutamente deludente, visto che è interessata SOLO al politicamente corretto, alle pari opportunità, al metoo e a baggianate simili. Di Alien e Predator non frega niente a nessuno, e questi autori non hanno la benché minima idea di cosa siano quelle due creature.


Indice:


La trama

La prima antologia di racconti originali in cui appaiano le due creature iconiche, con i Predator che danno la caccia alla loro preda per antonomasia, gli xenomorfi.

Quindici racconti originali per un’antologia unica nel suo genere, ambientata nell’universo espanso di Aliens vs Predator.

Ci sono i cacciatori per eccellenza, i Predator, alla ricerca della loro preda per eccellenza, gli xenomorfi, con gli umani che si ritrovano presi nel mezzo. Ambientati sulla Terra ma anche nello spazio profondo, questi racconti sono firmati dai più talentuosi autori contemporanei di narrativa fantastica.

Ispirate all’universo espanso di Aliens vs Predator – film, fumetti e romanzi – queste sono le storie definitive dei personaggi. Compreso un racconto originale scritto da Jonathan Mayberry e Louis Ozama (l’attore che interpreta Hanzo nel film Predators) in cui il fratello di Hanzo affronta l’eterna minaccia sia dei Predator che degli xenomorfi.


Introduction

Il vice-curatore dell’antologia, Bryan Thomas Schmidt, firmando questa introduzione il 26 maggio 2021 ci ricorda che il film Alien ha esordito in pellicola da 70 mm al quarto Seattle International Film Festival venerdì 25 maggio 1979, mentre Predator è uscito venerdì 12 giugno 1987: entrambi erano film concepiti come “solitari” ma poi grazie a L’Impero colpisce ancora (1980) la Fox ha capito che le saghe di fantascienza funzionano al cinema. Quindi Predator non poteva essere un film nato “in solitaria”, visto che da sette anni i seguiti erano consuetudine assodata. Va be’.

Poi un giorno imprecisato un «sceneggiatore sconosciuto chiamato Peter Briggs» ha unito le due creature in un copione dal titolo The Hunt: Alien vs Predator, purtroppo mai portato al cinema: ma è bastata quella scintilla a dare alla Fox l’idea per lo scontro fra le due creature. Quindi dobbiamo prendere atto che Schmidt è totalmente ignaro del fenomeno a fumetti e videogiochi che per dieci anni ha infiammato il mondo, proprio in quegli anni in cui la Fox rifiutava di prendere in considerazione un film con le due creature visti i risultati fallimentari di Predator 2 e Alien 3, segno che gli spettatori avevano mollato, mentre lettori e giocatori erano ossi molto più duri.

Quindi iniziamo già male, con uno dei due curatori convinto che Aliens vs Predator sia un’idea nata per il cinema.


Editor’s Foreword: The Sequel

Il vice-curatore dell’antologia, Jonathan Maberry, firmando questa introduzione il 26 maggio 2021 ci racconta di quando da ragazzo andò a vedere prima Alien e poi Predator, e poi di quando con l’uscita delle rispettive VHS abbia spesso organizzato doppie visioni, tanto che per lui le due creature erano naturalmente portate ad essere collegate. Questa convinzione l’ha ritrovata anni dopo in internet, dov’era pieno di discussioni sullo scontro delle due creature, e poi sono arrivati i fumetti… Eccone un altro…

Il primo fumetto di Aliens vs Predator risale al 1989, quando dubito ci fosse internet, e ovviamente Maberry ignora i tanti giochi di AVP che hanno reso massiccio il marchio anche tra i giocatori, mentre i fiumi di fumetti lo facevano tra i lettori. La conferma che Maberry ignori tutto di questo suo oggetto di grande passione arriva quando riferendosi al Predator del primo film dice «che oggi sappiamo essere membro degli Yautja»: termine inventato nel 1994 dalla romanziera S.D. Perry e totalmente ignorato in seguito, finendo al massimo citato da Wikipedia nei primi anni Duemila. Solo dal 2014 una fonte ufficiale, cioè la Titan Books che aveva appena comprato il marchio, usa il termine Yautja regolarmente per indicare i Predator, per il resto è un termine che semplicemente non esiste nell’universo alieno.

È chiaro che Maberry è così fan, così appassionato da informarsi leggiucchiando in Rete. Due su due: un’antologia che comincia con i peggiori auspici, visto che i due curatori non sanno una mazza del tema che devono gestire.


Below Top Secret
di Chris Ryall

Brockton e April non sono la tipica coppietta che si diverte a visitare un’istituzione famosa, anche perché l’istituzione in cui fanno una visita guidata è l’Area 51. Entrati come turisti, Brockton subito si defila e trascina la sua ragazza in un percorso segreto che conoscono in pochi: informazioni comprate in Rete spendendo i soldi messi da parte per il college. E forse è meglio così, che sarebbero andati sprecati in ogni caso.

Facciamo finta di credere che due ragazzi riescano a penetrare sin nel cuore di una base militare segretissima, a quanto pare priva di qualsiasi sistema di sicurezza, ma quando i due incontrano il dottor Stephen Renfro questi dirà loro qualcosa, almeno denuncerà la loro presenza… e invece non farà in tempo, perché uno xenomorfo se lo inizia a sgranocchiare. Spaventati dalla creatura Brockton e April si chiudono in un laboratorio insieme ad una scienziata che stava passando di là nella sua fuga, la dottoressa Amy Kupihea, la quale – per nulla turbata dalla totale mancanza di sicurezza della base – inizia a spiegare un sacco di cose ai due ragazzi, come se fossero i meglio amici suoi, malgrado siano due clandestini appena macchiatisi di un crimine grave come la violazione di segreto militare.

Come uscire dal sottosuolo dell’Area 51 con uno xenomorfo in libertà per i corridoi? Semplice: la dottoressa tira fuori una palla (che non ho capito cosa sia) e un attimo dopo arriva un Predator… che gli scienziati chiamano amichevolmente Dean.

«Quella cosa è dalla nostra parte? Cazzo, magari allora abbiamo una possibilità», è l’arguto commento di Brockton, mentre il Predator Dean – che ci viene detto essere poco interessato ad attaccare gli umani (non si sa perché) – procede a lottare corpo a corpo con lo xenomorfo. Quando è chiaro che sta soccombendo sotto i colpi degli artigli, la dottoressa Kupihea gli lancia la palla di prima: era un’arma trovata nella nave del Predator e gli scienziati stavano ancora cercando di capire cosa fosse, ma sicuramente potrà tornare utile in quel momento. Infatti il cacciatore la vede, la afferra, ne estrae a mano un liquido blu che infila a forza nella gola dello xenomorfo, così che questo inizia a liquefarsi dall’interno. Il liquido blu è un acido sciogli-alieno.

Con la morte del cacciatore, comunque soddisfatto d’aver ucciso la propria preda, la storia evapora: nessuno sa niente sulle due creature, non ci viene detto perché fossero lì, come avesse fatto lo xenomorfo a fuggire e cosa ci facesse il Predator nei paraggi: vive nell’Area 51? L’autore semplicemente ha tirato i remi in barca: a lui interessava descrivere due creature che si menavano e solo questo ha fatto. Al massimo ha piazzato lì qualche siparietto divertente in cui il giovane Brockton cita le cospirazioni più classiche, dai rettiliani agli omini grigi, e rimane allibito davanti invece a creature molto più violente.

Giusto un raccontino di riscaldamento.


Isla Matanzas
di Steven L. Sears

Siamo nel marzo del 1770 e su un’isola sperduta nell’Oceano Atlantico vive Jorge Rodriguez de Aviles, lì naufragato due anni prima viaggiando a bordo della nave Hesperia. Dalla sua casa-caverna assiste allo scontro fra xenomorfi, che lui chiama Malvados, e Predator, che lui chiama Nephilim, come i giganti biblici. Non a caso per commentare la loro discesa dal cielo, una notte, il testimone usa un passo biblico: «C’erano sulla terra i giganti a quei tempi: erano loro gli eroi dell’antichità, guerrieri famosi» (Genesi 6,4).

Un giorno dal nulla sono apparse delle strane uova nella giungla e il testimone è sfuggito per un pelo all’assalto degli strani esseri che ne sono fuoriusciti, che invece hanno avuto gioco più facile con le scimmie locali: da qui sono nati gli esseri demoniaci che chiama Malvados. Per fortuna tre Angeli Vendicatori giganti – il furbo Adelantado, il forte Gigante e il rapido Assessino, così li ha battezzati il nostro naufrago – sono scesi dal cielo per affrontare il male, che però è decisamente soverchiante.

La situazione sull’isola è abbastanza tesa, con i Predator che vanno continuamente a caccia di xenomorfi e il povero umano che da due anni si tiene nascosto e per miracolo è riuscito a sopravvivere, ma lo stesso la situazione può peggiorare: con l’arrivo cioè di una nave di negrieri britannici. Appena l’imbarcazione approda viene aggredita dagli xenomorfi e a sorpresa le creature hanno la peggio… contro le temibili guerriere africane schiave che la nave trasporta. Queste anzi aiutano un povero Predator che stava soccombendo sotto gli attacchi alieni.

Queste Minos, così chiamano se stesse, hanno come capo Nan la quale tramite il nostro naufrago riesce a raggiungere la “tana” dei Predator e a mettersi d’accordo con loro: grintosa com’è guiderà le sue donne guerriere in una battaglia congiunta con i cacciatori spaziali, i quali la seguono senza battere ciglio.

Alla fine della tenzone, il nostro naufrago può lasciare l’isola sulla nave negriera e tornare in Africa insieme alle sue nuove amiche, e da lì scriverà al Vaticano per spiegare che la lotta tra il Bene e il Male è ricominciata, come ai tempi biblici. Riuscirà questo suo resoconto a superare la diffidenza degli ambienti ecclesiastici?

Altro raccontino di riscaldamento, abbastanza vago e superficiale. Prima o poi finirà ’sto riscaldamento…


Homestead
di Delilah S. Dawson

Lucy è una donna incinta di nove mesi che si ritrova da sola in una grande fattoria, quando alcuni strani avvenimenti cominciano a darle l’idea di qualcosa di molto brutto in corso. Alcuni particolari sono evanescenti, altri decisamente molto più concreti: per esempio tutti i suoi maiali d’un tratto crollano a terra e un essere vermiforme esplode fuori dal loro petto. Non serve altro alla donna per montare a cavallo e correre dalla vicina di casa, che in realtà è molto poco vicina, in termini di distanze.

A casa della vicina Lucy trova solo un massacro e l’azione di una qualche creatura mostruosa. Mentre si aggira per la casa avverte un suono e, in breve, vede un Predator che le si materializza davanti: essendo la donna incinta, il nobile cacciatore la lascia stare. Intanto il suo bambino non ne vuole più sapere di starsene nel pancione.

Raccontino veloce su cui non vale la pena parlare oltre.


The Hotel Mariposa
di David Barnett

Ben, Carol e Cade hanno fatto il colpaccio, vendendo a Netflix lo spettacolo televisivo “American Spook-Chasers“, in cui vanno in grandi case storiche a caccia di fantasmi: la prima stagione è stato un successo, la seconda una pericolosa caduta. Se entro quattro settimane non presentano a Netflix un episodio “da paura”, roba forte, un Halloween Special di quelli che fanno sgranare gli occhi, la loro serie è più morta dei fantasmi a cui danno la caccia. Ecco perché si presentano all’Hotel Mariposa (New England), nome dal passato glorioso.

Costruito negli anni Venti e subito diventato meta di personaggi famosi – Hemingway ci si è ubriacato rompendo tutto! – sin da subito l’Hotel Mariposa è stato luogo di fenomeni inspiegabili e anche paranormali: fantasmi, poltergeist e via dicendo. Malgrado fosse frequentato da divi, nel 1967 l’attività chiude i battenti, ma non per problemi finanziari: una setta di invasati un giorno prese in ostaggio i clienti e li massacrò, e certe cose attirano pessima pubblicità.

Intanto il Predator Hin’tui è in pieno ritiro spirituale per prepararsi all’imminente nuova caccia. Qui l’autore si è andato a rileggere Aliens vs Predator: Prey (1994) di S.D. Perry così da ricopiare la terminologia inventata in quell’occasione dall’autrice e mai più ripresa, fino a tempi recenti. Così il Predator è uno Yautja, chiama gli umani oomans e via dicendo: l’unico nuovo termine è ovviamente l’Hotel Mariposa, che per il guerriero è Gorath Pun’tila, “il posto in cui niente è come sembra”.

I nostri tre eroi in cerca di fantasmi per impressionare Netflix si preparano, e appena uno vede Carol scrivere nel bel mezzo di un albergo infestato non resiste a dire: «All work and no play makes a Carol a dull girl», una citazione di Shining (1980) intraducibile, visto che nel doppiaggio italiano il testo è stato cambiato completamente. Se però i protagonisti aspettavano un fantasma, ad apparire dall’oscurità è qualcosa di completamente diverso.

Ciò che gli umani non sanno è che l’Hotel Mariposa è un tempio in cui i Predator compiono quel rito di iniziazione che li ha resi celebri: un uovo alieno è già stato piazzato e il Predator è già pronto al combattimento, armato solo di lame da polso. Come il cacciatore possa essere scambiato per un “cavaliere medievale” dai nostri eroi è qualcosa di davvero poco chiaro.

Le premesse sono intriganti e divertenti ma poi il racconto non sa bene cosa fare, perciò si gioca ancora l’alleanza fra Predator e donna protagonista – come tutti i racconti precedenti! – e tutto va come negli altri racconti, cioè col Predator esangue salvato dalla donna grintosa. Mi sa che questi autori hanno visto solo il film AVP (2004) per prepararsi all’antologia…

Una curiosità. La mia supposizione che l’autore abbia consultato il romanzo della Perry per attingere alla “terminologia predatoria” si infrange contro il termine Kiande Amedha (“carne dura”) per indicare gli xenomorfi: visto che il termine originale è kainde amedha, questo errore di scrittura – “kia” invece di “kai” – fa capire come le ricerche dell’autore si siano limitate a sfogliare i siti meno affidabili della Rete, che infatti riportano il termine in modo errato. Possibile che alla Titan Books non si siano accorti dell’errore? Loro che hanno recentemente ristampato in modo corretto il romanzo della Perry?


Planting and Harvest
di Mira Grant

Siamo sulla Philomelus, una stazione di ricerca per la coltivazione idroponica che cerca di provvedere all’elevato fabbisogno alimentare delle tante colonie umane sparse nella galassia. Qui c’è Mary, specializzata in pomodori, Terry, specializzato nel riso e Nita, che ha funzioni un po’ di controllo. I tre sono in fibrillazione perché una stazione gemella, la Esus, ha smesso di funzionare e loro si sono presi in carico sia le scorte che la documentazione. Il tutto dura poco, perché ovviamente sbucano fuori gli xenomorfi che ammazzano tutti, tranne Lisa Olsen che lancia continui SOS nello spazio chiusa nella sua stanza blindata.

Molto prima che i messaggi d’aiuto raggiungano qualche nave di soccorso, vengono intercettati da una nave Predator, i quali capiscono subito che sulla Philomelus c’è “selvaggina” perfetta per la caccia: al grido di «Kiande Amedha!» (“carne dura”) – riportando di nuovo in modo errato il termine – partono alla volta della sorgente del messaggio.

Sotto gli occhi allibiti di Lisa i Predator arrivano e fanno pulizia, tipo disinfestatori, e ovviamente non hanno alcuna animosità nei suoi confronti perché è una donna, e questa antologia non brilla certo per fantasia. Altro raccontino veloce che non lascia certo alcun segno.


Blood and Honor
di Susanne L. Lambdin

La tenente Kai Kentarus si risveglia in modo brusco, perché dal letto – e dall’abbraccio del suo capitano amante – si ritrova in una capsula di salvataggio, in caduta libera.

Giorni prima sulla USS Tephra, vascello militare di classe Bougainville agli ordini del capitano Lucien Duran, c’era stato un acceso scambio di opinioni con Palmer Lennox, esecutivo della Weyland-Yutani con il compito di gestire la terraformazione di XK-93, pianeta simile alla Terra intorno al quale stavano orbitando. Le squadre scientifiche inviate a fare rilevamenti hanno interrotto ogni comunicazione, non prima di aver informato la nave della presenza di xenomorfi: il pianeta è impossibile da “bonificare”, come invece vorrebbe Lennox, il quale si ostina a dare ordini che il capitano Duran non può accettare, sapendo che nel caso manderebbe i propri uomini a morire.

Duran e la sua squadra è anche informata del fatto che XK-93 è un pianeta usato dai Predator come campo di battaglia, e quella specie è ben nota al tenente Kentarus, visto che porta addosso le profonde cicatrici di un incontro movimentato con una femmina Predator: se non fosse stato per l’aiuto di un suo commilitone e mentore, il sergente Frank Mueller detto “Mule” armato di XM99A Phased Plasma Pulse Rifle, probabilmente non sarebbe sopravvissuta. Ora fa parte, come specialista di armi, dei “Night Marchers”, nome del 4° Battaglione, 3° Gruppo d’armata: descrizione roboante per un gruppo di Colonial Marines dal pessimo carattere e dalla fedina penale sporca.

Mesi di lunghe ed estenuanti riunioni non avevano cambiato una virgola: quel cieco burocrate di Lennox continua a ritenere possibile terraformare XK-93 con una semplice “disinfestazione”, mentre il capitano Durand cerca di spiegare che non solo non è possibile ripulire il pianeta dagli xenomorfi, ma ci sono anche le stagioni di caccia dei Predator da considerare. Alla fine, è successo qualcosa e ora la tenente Kentarus sta cadendo sulla superficie di un pianeta fuori da qualsiasi rotta, messo in quarantena e l’unica nave che sa dell’esistenza della donna – la USS Tephra – si sta allontanando senza di lei. Kentarus è stata abbandonata nello spazio.

Al suo arrivo sul suolo Kentarus scopre altri relitti ma anche facehugger in giro, quindi si affretta ad armarsi, trovando una lama semi-sepolta nella sabbia: è un’arma dei Predator, costituita da polimero nero, infrangibile e resistente all’acido alieno. È leggera e con una seconda lama retrattile: ora si sente un po’ meno nuda, sul pianeta infestato dagli xenomorfi.

Raggiunta una vicina vegetazione, dopo lunga ed estenuante camminata, Kentarus trova una sorgente ma anche due Pretoriani sul posto: la situazione sembra difficile, ma poi si sblocca quando la donna vede sul carapace di uno degli xenomorfi tre puntini rossi luminosi disposti a triangolo: una sventagliata di plasma blu fa saltare la testa ad un Pretoriano, mentre al Regina fuoriesce dal suo rifugio e, sventrando alberi, si avventa sul Predator in piena caccia. Sarà dura per la soldatessa sfuggire allo scontro di titani alieni.

Nella fuga la donna incontra una Predator femmina legata, in quello che sembra un accampamento: liberarla e salvarla dal Predator maschio – soprannominato Big Rhino – che vuole uccidere entrambe è un chiaro segno che anche nell’universo alieno è arrivato il metoo: infatti in questo racconto i maschi so’ tutti stronzi e le donne tutte gagliarde e unite nel girl power.

Kentarus, che ama dare nomignoli, battezza la sua nuova amica Blood Venom e visto che insieme affrontano i pericoli di XK-93, cioè ben due Regine aliene – una anziana e una giovane – diventano blood sisters e l’autrice si lascia un finale aperto per nuove avventure pseudo-femministe in giro per la galassia.

Ignorando la deriva metoo che rovina il racconto, la prima metà è davvero ottima e azzardo un’ipotesi: la descrizione del pianeta in cui cade Kentarus mi ricorda molto da vicino il primo livello del videogioco Aliens vs Predator 2 (2001), nella missione del Predator (acque tossiche, Pretoriani), e mi diverte ipotizzare come l’autrice per crearsi un’ambientazione ci abbia fatto una partitina.


Carbon Rites
di Jess Landry

Non succede mai nulla nella cittadina di Morden, pensa la giovane Blake, ogni giorno è uguale all’altro ed è sempre perfetto. Finché un giorno nel negozietto di Blake entrano tre loschi figuri (Mariana, Washington ed Hernandez) armati di fucili semi-automatici RAK-9: qualcosa di diverso sta avvenendo a Morden.

Mentre le sirene cittadine suonano all’impazzata, per la prima volta per quanto ne sappia Blake, i tre sconosciuti portano in salvo la donna da un pericolo misterioso, che scopriamo subito: dal nulla si materializza una Predator femmina che i tre chiamano Huntress. Non solo è femmina, ma è pure regina: lo evincono dai fregi del suo casco, troppo complessi per appartenere a un semplice cacciatore. (Cosa tocca sentire…)

Il gruppo corre nella scuola cittadina (e dove sennò?) quando escono fuori gli xenomorfi e tutti si menano. Dopo vari tentativi finalmente Blake riesce ad ottenere una spiegazione di tutto ciò che sta accadendo, e non le piace per niente: quella non è Morden, la sua città natale, è solo una simulazione in cui lei è cavia inconsapevole. Al suo risveglio, infatti, si ritrova nella base militare MRB-215 su LV-223 – il pianeta del film Prometheus (2012)! – e lei è solo una sintetica.

Racconto da dimenticare immediatamente, sperando che questa biasimevole abitudine di ritrarre Preator femmina non prenda piede, visto che è adottata da autori che poi non sanno che cacchio inventarsi nel loro racconto.


First Hunt
di Bryan Thomas Schmidt

Ecco un altro autore che ha consultato il dizionario “Yautja for dummies” e ci regala secchiate di neologismi. Abbiamo così il Predator d’esperienza Bo’kui, detto Bloody Spear, deve valutare le nuove leve, che parlano tutte in yautjese come fossimo tornati al 1994 di S.D. Perry.

Vediamo giovani Predator come T’ua’sa e G’kon’dchah eccitarsi all’idea di affrontare la loro prima battaglia contro gli Amedha, cioè gli xenomorfi, mentre Zo’keah mostra segni di nervosismo. Il saggio Bo’kui li osserva, pronto a valutare le loro prestazioni, e augura forza e onore in yautjese: «Thar’n-da s’yin’tekai!».

Il gruppo umano che finirà vittima della caccia rituale dei Predator è formato da neo-salesiani guidati dal capitano Rodrigo Bosco, sbarcati da qualche anno sul pianeta New Brasilia (che però per i Predator è Hunting Ground 73569) e intenti a creare una missione umana, con un equipaggio di quindici persone. Qui Joseli Sousa e Matheu Pilar, addetti al settore medico, ricevono la chiamata di Vanessa che annuncia come João sia stato aggredito da una «creatura simile a un ragno». Il capitano Bosco e la tenente Adriana Bonfim sono già attivi.

Mentre nel reparto medico cercano di staccare un facehugger dalla faccia di João, Timóteo e Adriana (l’autore vuole citare tutti e quindici i terrestri?) avvertono che creature mostruose sono uscite dalla foresta e li stanno attaccando. Poi escono pure i Predator e gli umani assistono al massacro delle due specie, che ogni tanto massacrano pure loro.

Maciullati xenomorfi e quasi tutti gli umani, tranne ovviamente le donne, i Predator salutano e se ne tornano a casa. Mentre il lettore si chiede quanta altra vuotezza possa raggiungere questa antologia.


Abuse, Interrupted
di Yvonne Navarro

Jazz è una donna abusata dal marito Marc, che l’ha portata in uno chalet di montagna così non può scappare: quando si ritrova in una caccia con protagonista un’altra, ennesima Predator femmina, è chiaro che quest’antologia abbia deragliato di brutto dai suoi binari. Ho capito che al giorno d’oggi vende solo il finto femminismo da copertina, ma qui si esagera.

Gli autori poi non hanno assolutamente idea dell’universo che stanno gestendo, visto che appaiono palesemente ignari del suo essere sempre stato femminicentrico sin dalle sue origini, senza alcun bisogno di ipocriti metoo di facciata.

Altro inutile racconto da ignorare.


Better Luck to Borrow
di Curtis C. Chen

La giovane Lily Shôu non è contenta di aver dovuto seguire i suoi genitori su un’altra colonia – LV-2179 – all’inseguimento degli incentivi della Compagnia, mai goduti però perché sia mamma che papà sono morti in un incidente con un powerloader. Ora Lily è sola e di nuovo è la “nuova” a scuola, oltre l’unica asiatica: un grande regalo per il bullo Teylor Wernicke, che neanche durante la grande fiera di scienze curata dal professor Abraham Ahidjo si prende una pausa dal suo dar fastidio alla ragazza.

Alla fiera Lily viene avvicinata da un uomo della Compagnia, Preston Bevetoir, che sembra aver lavorato con i suoi genitori a qualcosa di strano, per esempio… a uova e facehugger. Accade il solito incidente e una nave piena di ragazzini viene aggredita dagli “stringi-faccia”, con Preston che cerca di salvarsi lasciando gli altri a morire.

L’intera colonia è nata per sfruttare per sfruttare le possibili conoscenze tecnico-scientifiche dal relitto alieno lì trovato, ma invece di nuove tecnologie sono arrivati i facehugger, ma tranquilli: una scolaresca diretta alla fiera della scienza saprà costruire armi sì improvvisate ma utili alla bisogna. Altro raccontino più impegnato a piacere ai benpensanti che ai lettori di fanta-horror.

Una curiosità. Uno degli alunni si chiama Dennis Kotto, che non solo è un omaggio all’attore Yaphet Kotto ma anche la prova che lo scrittore al massimo avrà visto solo il primo film e poco altro.


Film School
di Roshni “Rush” Bhatia

Siamo sulla stazione di ricerca Weyland-Yutani che orbita intorno a LV-203, noto come Tenebris, e qui la signorina Jess Philip viene interrogata ripetutamente sugli eventi occorsi nella stazione mineraria di un pianeta dove non avrebbe dovuto trovarsi, essendo contrassegnato in quarantena e quindi inaccessibile. La donna, sperando che poi la lasceranno tornare a casa, racconta per l’ennesima volta l’accaduto.

Due giorni prima un gruppo di giovani raggiunge il pianeta per girare un documentario: sono Connor Matthews (produzione e logistica), Kevin Ramirez (operatore ologrammi) e Brendan Watson (sonoro), un gruppo affiatato a cui si è aggiunta la Philip come aiuto-tecnico olografico. Lara Collins è la regista, interessata a documentario un disastro minerario passato sotto voce dall’informazione ufficiale. Il piano è passare dodici ore su Tenebris, registrare tutto il possibile e cercare di non finire vittime della forte attività vulcanica del pianeta.

Giunti sul posto e iniziato a scansionare in 3D la stazione mineraria, ben presto i ragazzi si rendono conto che c’è qualcosa di molto strano, e finalmente scoprono cos’è successo ai superstiti su cui la Compagnia ha sempre taciuto il destino: pezzi di cormi umani sparsi in giro non lasciano sperare per il meglio. Esce così fuori che la miniera è diventata territorio di caccia dei Predator e gli umani vi sono rimasti incastrati: non è esclusa una certa soddisfazione della Weyland-Yutani nell’avere l’opportunità di studiare le due razze aliene “in diretta”.

Telecamere e scanner 3D hanno il pessimo difetto di sembrare armi, agli occhi dei cacciatori, quindi per i nostri documentaristi sarà difficile raggiungere la scialuppa di salvataggio per lasciare Tenebris, ma sono spinti dal furore giornalistico per cui “tutti devono sapere cosa è successo qui”.

Finalmente un vero racconto alieno, cupo, teso e disincantato, senza perbenismi paraculi e divertente da leggere. Una vera rarità, soprattutto per questa antologia.


Night Doctors
di Maurice Broaddus

Nyota Dorsey è una responsabile della sicurezza di New Allensworth, colonia umana su LV-333 nel sistema di Xamidimura, nome che in lingua Khoikhoi significa “occhi del leone”. Conosciamo la ragazza nera – perché in questa antologia delle pari opportunità mancava solo la questione razziale! – mentre accompagna suo fratello Miles Byfield, xenobotanico, al centro medico dove viene visitato dal sintetico Chad: purtroppo invece del corretto termine “sintetico”, proprio di questo universo narrativo, viene usato resident android, giusto per ricordare che gli autori scelti non sanno niente di universo alieno.

Lo xenobotanico lamenta i sintomi di una “influenza spaziale”, come si diverte a definirla, e viene visitato dalla poco simpatica dottoressa Ann Saenger, che ha riscontra sintomi più acuti ma non gravi e tiene il ragazzo in osservazione. Tutte stupidate che non servono a niente.

Il succo del racconto, fra una questione sociale e una razziale, è che i laboratori medici di New Allensworth in realtà vengono usati dalla Weyland-Yutani per fare esperimenti su xenomorfi e Predator, e a forza di ficcare il naso Nyota scopre una Regina Aliena tenuta prigioniera. La dottoressa Saenger le spiega che il nome latino della creatura è Internecivus raptus, “ladro assassino” (traduzione discutibile), ma lei preferisce il nomignolo Queen Hottentot. I “dottori notturni” del pianeta sono come quelli che facevano esperimenti segreti sulla popolazione nera nei decenni passati, e vai, che erano dieci righe che non si affrontava una tematica sociale che non c’entra un cazzo con Alien e Predator.

Un altro inutile racconto di questa inutile antologia.


Scylla and Charybdis
di E.C. Myers

Il capitano Hyeon Bak della nave Ketumati comincia la sua riunione nel modo peggiore: «La cattiva notizia è che stiamo andando alla deriva nello spazio». L’addetta alle comunicazioni Blodwen Clarke pone la domanda che avremmo posto tutti noi: «E qual è la buona notizia?» In effetti una buona notizia c’è: «Non siamo ancora tutti morti». Per carità, è sicuramente meglio dell’alternativa, ma c’è ben poco di buono in questa notizia.

L’ingegnera capo Anika Hassan spiega a chi non l’abbia capito, come il botanico Kiann Das, che i motori sono spenti e la nave sta procedendo per semplice inerzia. L’equipaggio era tutto in sonno criogenico in attesa di svegliarsi a destinazione e costruire una nuova colonia, quando il computer di bordo – gAIa – sveglia il capitano per i problemi riscontrati alla nave: Hyeon Bak non avrebbe voluto svegliare anche il resto dell’equipaggio, ma la situazione era troppo grave per poterla affrontare da solo. I motori della nave infatti si sono semplicemente spenti ma non c’è alcun difetto fisico: «Problemi di software?» propone il pilota Gunpei Iwata, ma il capitano pensa a qualcosa di peggio. Pensa al sabotaggio. Qualcuno a bordo non vuole che la nave arrivi a Babylon per costruire la nuova colonia.

La riunione tesa viene interrotta dalla voce del computer che avverte dell’avvicinamento di una nave sconosciuta, che dopo un attento esame appare essere estremamente ostile: appena il vascello attracca la Ketumati un Predator sale a bordo, per lo sconforto generale, e inizia la sua caccia avvolto dall’invisibilità. Gli umani non hanno scampo e cascano uno dopo l’altro sotto i suoi colpi, finché il capitano si rende conto che l’essere alieno usa la visione termica per trovarli e così si infila in una cabina di sonno criogenico, per diventare freddo ed invisibile.

Al suo risveglio, il capitano Bak ritrova tutti i membri dell’equipaggio che credeva uccisi dal cacciatore, il quale li ha solo narcotizzati, e ritrova anche sua moglie Amelia Hamilton, risvegliata per l’occasione. Gli umani sono stati prelevati dalla loro nave e si ritrovano in uno strano ambiente creato dal Predator, che chiama se stesso Keeper: per quale motivo? Non c’è tempo di scoprirlo, perché davanti a loro Predator e xenomorfi cominciano ad affrontarsi e gli umani approfittano di quella distrazione per raggiungere una navicella e partire. Per dove? Non si sa.

A parte un finale sbrigativo e insufficiente, che lascia in sospeso tutti i fili narrativi, finora è uno dei migliori racconti dell’antologia, sia per come è scritto sia per l’atmosfera che per le sottotrame. Davvero un peccato che si interrompa sul più bello.


Another Mother
di Scott Sigler

A questo punto dell’antologia sono così stanco e stufo che non ho capito una stra-mazza di questo racconto, che elenca decine di nomi e robe incomprensibili.


Kyôdai
di Jonathan Maberry e Louis Ozawa

Eiji Kawakami, fratello minore dell’Hanzô Kawakami del film Predators (2010), si ritrova a cadere sul pianeta-riserva di caccia, armato solo di una Sig Sauer P226 e tanta confusione in testa. Dov’è finito? E chi ce l’ha portato? Noi lo sappiamo, ma tocca aspettare pagine e pagine che il personaggio raccolga gli indizi. Esplorando il pianeta trova i resti dei personaggi del film e anche la prova che suo fratello è passato di lì, rimanendoci per sempre.

Dopo lunghe pagine in cui il personaggio capisce lentamente ciò che noi sapevamo già prima dell’inizio del racconto, finalmente arriva il succo: la presenza di xenomorfi sul pianeta spinge l’umano e il Predator a unire le loro forze. Fine del racconto.

Peraltro è l’unica storia dell’antologia con umani e Predator maschi.


Conclusione

Violenze domestiche, discriminazione razziale, sottomissione psicologica, pari opportunità, metoo: nessuna questione femminile è rimasta fuori da questa antologia politicamente corretta, ma narrativamente escrementizia: che cazzo c’entra tutto questo con Alien vs Predator? Anche nei romanzi di Star Wars, Halo e Firefly ci sono infiniti pipponi sulle questioni femminili? O è un trattamento che la Titan dedica solo all’universo alieno?

Nessuno degli autori coinvolti, men che meno i due curatori, ha la più pallida idea degli universi in cui hanno fatto finta di entrare: si sono limitati a dividersi le tematiche politicamente corrette da affrontare e poi hanno buttato a casaccio Alien e Predator, totalmente inutili e posticci.

Un’altra vergogna per la Titan, che come la Dark Horse Comics comincia a sputare nel piatto in cui mangia.


L.

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14 pensieri su “[2022-03] Aliens vs Predators: AVP Ultimate Prey

    • Possibile che tutti, ma proprio TUTTI gli autori dell’universo alieno al momento di scrivere prefazioni o di rispondere a interviste dicano SEMPRE la stessa cosa? Cioè che da ragazzini hanno visto ALIEN e fine lì. Come si fa a dirsi grandi appassionati di un universo di cui si ignora volutamente TUTTO???

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      • Be’ secondo me non c’è una definizione ufficiale di “appassionato”. Io ad esempio mi ritengo un appassionato dell’universo di Alien pur conoscendo a grandissime linee qualche videogioco, anzi a parte Alien Isolation non ne ho giocati altri e a dire la verità ho capito che non me ne frega niente di giocarli.
        Ciò che stona molto sono le inesattezze che riportano nelle prefazioni, che dimostrano poca cura nello studio di un universo nel quale una volta che decidi di dare il tuo contributo dovresti per lo meno conoscerlo. In questo caso dal momento che curi un’antologia di AvP dovresti almeno sapere, o meglio esserne venuto a conoscenza, del fatto che è nato tutto da un fumetto. Poi che Maberry e Schmidt siano due appassionati di AvP non lo metto in dubbio.

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      • Le passioni personali non si discutono, ma quelli che rilasciano dichiarazioni sono autori, non passanti o fan, e come tale ci si aspetterebbe un minimo di approfondimento sul tema che stanno trattando.
        Io non so niente di Halo, ma se una casa editrice mi contattasse per scrivere un racconto in quell’universo andrei subito a studiare, anche solo per non fare brutta figura coi lettori informati. Invece nell’universo alieno delle brutte figure non frega niente a nessuno 😀

        Anche se a te non piacciono i videogiochi alieni, sai che esistono: non ho mai incontrato un autore di narrativa che anche solo citasse la loro esistenza, malgrado siano una colonna portante del franchise sin dai primi Novanta. Sono i fumetti e i videogiochi che hanno tenuto in vita l’universo alieno, che altrimenti sarebbe morto nel 1997 dopo il doppio-flop tombale di terzo e quarto film, che seguiva a quello di “Predator 2”: se non fosse per i lettori e i giocatori sarebbe tutto morto lì.

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