Grazie ai miei angeli custodi già da luglio sono stato informato dell’esistenza del documentario Memory: The Origins of Alien (2019) di Alexandre O. Philippe, che in questi giorni ho finalmente potuto vedere grazie all’uscita dei sottotitoli. (Il mio inglese parlato è troppo carente per affrontare un’opera documentaristica.)
Il film sarà proiettato in Italia a fine mese, all’interno del Trieste Film Festival (non è chiaro se doppiato o con i sottotitoli) e in attesa di una eventuale futura distribuzione nostrana sono già disponibili il DVD e il Blu-ray americani, a prezzi certo non concorrenziali.
Un modo per spillare altri soldi dopo 40 anni!
C’era bisogno di un nuovo documentario su Alien? Cosa rimaneva da dire che in questi quarant’anni non è stato detto? Sicuramente le scene dell’epoca che riguardano le riprese del chestburster – l’unica scena sempre ricordata del film, segno che del resto non c’è molto da dire – sono belle, così come le foto e le interviste di chi all’epoca lavorò sul set. Visto però che non dicono altro se non quanto già detto nei contenuti speciali dei film… Ah, ecco, spetta che ho capito: essendo i contenuti speciali dei film alieni in pratica scomparsi con l’avvento del Blu-ray, è in fondo un modo per far conoscere ai gggiovani quei “dietro le quinte” che ormai sono appannaggio dei collezionisti.
Perfetto simbolo di Alien (???)
Tre vecchie che digrignano i denti: qusto è il simbolo di Alien, almeno nella mente confusa del regista-autore. L’idea di iniziare così il film sembra essere spiegata molto più avanti, quando il delirio totale porta a tirare in ballo le Furie della mitologia greca: cosa c’entrino, lo sa solo il regista e non lo dice a nessuno. Forse che la creatura del film la si vede come una versione moderna delle Furie greche? Non viene detto, come in pratica non viene detto gran che in generale. Se non il già noto e mitologia varia.
Uno dei rari testimoni dell’epoca intervistati
Sono intervistati giornalisti, critici, cineasti, tutta gente le cui opinioni vale quanto l’ultimo degli spettatori ma non si sa perché loro stanno là, a parlare di opinioni spacciate per informazioni. Mi spiego con un esempio. Se intervistano il direttore della fotografia dell’epoca e dice che ha usato (invento) il seppia come colore di base, è un’informazione. Se intervistano il tizio che scrive per “Andiamo al cinema con tua sorella” e dice che la fotografia aveva il seppia come colore di base, è un’opinione, a meno che questi non spieghi dove abbia trovato questa informazione.
Per fortuna ogni tanto si sbagliano e nel documentario intervistano qualcuno che all’epoca era davvero coinvolto nel film, ma la maggior parte di ciò che sentiamo sono chiacchiere da bar.
Altri intervistati sparsi
A sorpresa sbuca fuori Tom Skerritt, che in questi decenni molto raramente ha raccontato la sua esperienza sul set. Invece Veronica Cartwright non fa che ripetere quanto già detto nelle interviste dell’epoca: almeno è coerente.
Tutti gli altri attori sono assenti, e anche loro sono coerenti: nessuno di loro sembra interessato a parlare del film da quarant’anni, Sigourney Weaver in testa, le cui interviste a tema Alien si contano sulle dita di una mano. (Posso capire il secondo, che ha odiato ed ostacolato con ogni modo, ma perché questo totale silenzio sul primo film?)
Curiosa lista di idee copiate per il film, ma non si sa chi l’abbia stilata
Grande sopresa è l’apparizione di Roger Corman, che mai in questi quarant’anni ha speso una singola parola per rispondere all’annosa domanda: ma O’Bannon e Shusett gliel’hanno davvero proposto Alien?
«La prima volta che ho visto il copione di Alien era una sua precedente versione, fornitami da Dan O’Bannon, e ricordo che il titolo era Star Beast. Mi piacque quel copione e volevo farlo, ma dissi a Dan che avrebbe richiesto un budget superiore a quanto io fossi in grado di provvedere: perché non provava a venderlo ad altri? Se non ci fosse riuscito, sarebbe tornato da me e io l’avrei comprato e girato.»
La dichiarazione collima perfettamente con il racconto che Shusett ha rilasciato nel 2003 – all’interno di quei documentari mille volte migliori contenuti nello splendido cofanetto “Alien Quadrilogy” – e questo me la fa puzzare ancora di più. Possibile che dopo quarant’anni di totale e sigillato silenzio, il 93enne Corman abbia una memoria così precisa? Perché proprio ora ha preso la parola per pochi secondi giusto per confermare quanto da anni va raccontando Shusett? Mistero…
Walter Hill regista: sogno proibito!
La moglie di O’Bannon, in pratica co-protagonista del documentario, legge una lettera datata 1° luglio 1977, inviata da Dan ad H.R. Giger su carta intestata della Brandywine.
«Caro Giger, questa settimana mi sono trasferito negli uffici della Brandywine Productions dove stiamo iniziando a prendere decisioni concettuali [design decisions] per il nostro film. I produttori (Gordon Carroll e David Giler) e il regista (Walter Hill) sono eccitati come me per la possibilità di apporre il tuo stile unico al nostro film.»
Quello che la donna non legge in video lo si può vedere nelle riprese della lettera: Dan ricorda bene che Giger è rimasto scottato con Dune, per cui non ha guadagnato un centesimo, quindi specifica che stavolta non dovrà fare alcun lavoro senza un qualche tipo di pagamento anticipato. Come dire, “soldi in bocca”.
Poi si lancia in un programma in più punti, il cui succo è che una volta che Giger abbia letto le descrizioni di ciò che la produzione vuole, faccia sapere quanto sarà il costo per dei dipinti: se «accettiamo» (quindi la Brandywine e O’Bannon giudicheranno), l’artista riceverà un assegno di mille dollari come anticipo su futuri pagamenti. La moglie di Dan specifica che la Brandywine non ha voluto inviare quei mille dollari, così ha dovuto sborsarli O’Bannon di tasca propria. Ecco perché sui dipinti di Giger c’è scritto “O’Bannon’s Alien”.
Meno male che O’Bannon c’è!
D’un tratto il documentario si trasforma in atto d’odio. Ian Nathan, autore di Alien Vault. The Definitive Story Behind the Film (2011) addirittura dice che Gordon Carroll ha licenziato Giger. Gli fa eco il conduttore televisivo Ben Mankiewicz (che non si sa che diamine ci faccia lì) e dice che all’improvviso Wlater Hill avverte la Fox che non vuole più fare il film, come un bambino capriccioso: non ha mai creduto nel progetto e se ne va a girare I guerrieri della palude silenziosa: «Non un brutto film… ma non è Alien». Se ti sente Cassidy…
Che prove hanno ’sti tizi per fare affermazioni così gravi? Dove sono le fonti che hanno usato per una ricostruzione così faziosa? Perché il documentarista invece di pensare alle tre vecchie nude non è andato da Walter Hill (l’unico rimasto vivo della Brandywine) e ha chiesto la sua versione dei fatti?
No, meglio mostrare le letterine di scuola di Dan O’Bannon…
Ci si diverte a bestia, sul set
L’impianto documentaristico ha lo stesso valore di chiacchiere da bar, ma di sicuro i filmati d’epoca sono molto belli. Molto ampia la sezione dedicata a Roger Dicken che muove il chestburster attraverso il petto di John Hurt, nella celebre scena del pasto. Forse quelle scene sono inedite, ma non ci giurerei: nel documentario di tre ore che accompagna l’Alien di “Alien Quadrilogy” è facile che ce ne siano ampi brani. Nel caso, è gisuto per quelle scene che vale la visione del film.
In effetti, però, il vero momento alto del film arriva verso la fine. Misteriosamente Ridley Scott non è stato intervistato dal vivo, sebbene sia uno dei principali cantori dell’Alien immaginario che vive nella sua testa, quindi vengono mostrati filmati d’archivio provenienti da varie epoche. Il migliore di tutti è quello in cui ad un giornalista Scott racconta di apprezzare profondamente Giger e la sua opera, che ha conosciuto nel volume «Necro…» silenzio, poi qualcuno dietro l’obiettivo gli suggerisce il resto. «Necro… nomicon». Pronunciato balbettando e con un’espressione come a dire “Ma che roba è?”
Scott ama così tanto quell’opera che non sa neanche pronunciarla!
Due guerrieri spirituali inadatti per il violento mondo del cinema
Memory non è un documentario su Alien, è un omaggio alle leggende nate nel frattempo, molto più seguite del film stesso.
Chiudo con una curiosità. Alcune giovani professioniste vengono chiamate a raccontare di quanto Alien sia basato sul senso di colpa di una società patriarcale, per cui il simbolico fallo che fuoriesce dalla bocca aliena sodomizza i personaggi e il facehugger ne ingravidi uno. Il trattamento cioè riservato alle donne viene ribaltato e il maschio oppressivo viene ripagato con la stessa moneta.
Per carità, in un’opera ognuno può vederci ciò che vuole – e l’aspetto sessuale del film è dal 1979 che viene analizzato – ma la parte interessante è che tutto questo trova l’apice in un personaggio di donna forte totalmente inedito per l’epoca, che non trova simili ancora oggi. Parte l’omelia per Ripley e per la grandiosità del personaggio, che ovviamente mi trova d’accordo. Ma…
… Ma Ripley è un personaggio creato da Walter Hill, autore che nel documentario viene citato solo per dire che ha fatto i capricci e non ha voluto girare il film. Ecco perché distinguo un documentario che fornisca informazioni da uno che fornisca vuote opinioni.
L.
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