No Lovecraft in Alien (2020)

Oggi, 130 anni fa, nasceva Howard Phillips Lovecraft: ecco il blogtour per festeggiarlo:

Per questo viaggio, dobbiamo metterci d’accordo sulla partenza e sulla meta da raggiungere, prima di iniziare a muoverci. La partenza è che Ridley Scott non è “padre” né di Alien né di Prometheus, quindi analizzare questi due film partendo da questo errato presupposto – come purtroppo è usanza di giornalisti e (troppi) fan – porta a conclusioni molto interessanti ma del tutto aleatorie. Per esempio Brian Johnson nel 2016 nota come la saga aliena sia passata dalla forte direzione femminile (umana o xenomorfa che sia) ad una maschile (umana, androide o “ingegneristica” che sia): non è più la Madre Natura a generare uomini e mostri bensì la nuova scienza maschile e paternalistica, «new Promethianism», che si appropria di quei meccanismi della creazione finora ad allora propri degli dèi. Un’idea molto interessante ma che non ci sono prove abbia mai anche solo vagamente ispirato Scott, che non è autore né del primo Alien, né dei seguiti né tanto meno di Prometheus: Ridley Scott è un regista, uno dei più geniali visionari del cinema con una padronanza tecnica che lascia sempre esterrefatti, ma non è un autore.

Alien Cthulhu by packratstudios (2011)

I film di Alien nascono come qualsiasi altro film: da un’idea di base, frutto di creazione artistica ispirata da modelli precedenti, si lavora di martello pneumatico, si litiga, ci si picchia, chi strilla di più vince e alla fine il prodotto è un minestrone dove tutti hanno infilato qualcosa, dal produttore allo sceneggiatore, dal regista al montatore fino al distributore. Partire dall’idea che un costoso film prodotto da una grande major sia qualsiasi cosa nella sua interezza, che sia nato “per dire qualcosa”, è una falsa partenza che ci porta fuori strada. Un film nasce per vendere un prodotto, e come ogni grande prodotto ha una filiera produttiva lunga e complessa, dove ognuno porta la propria esperienza e dove chi ha potere lo esercita.

Alien (1979) è stato concepito come un filmetto scopiazzone da due soldi e poi è stato ricostruito dalle fondamenta, con l’aggiunta di particolari che molti dei suoi autori non volevano. Prometheus ha avuto un uomo forte al comando in cerca di una qualsiasi storia buona: ne ha presa una, buona, e l’ha fatta totalmente riscrivere ad un altro autore, che l’ha rovinata. Gli altri film della saga sono figli di personalità forti e diverse, con enormi problemi produttivi che hanno portato modifiche pesanti alle relative sceneggiature: trovare una qualsiasi filosofia, mitologia, idea principale o altro è pura finzione. Ognuno si può divertire come vuole, ma rimane una fantasia personale.

Questo viaggio cercherà di capire quanto alcune immagini di Alien (1979) e Prometheus (2012) che sembrano fortemente eredi di Lovecraft lo siano davvero. La conclusione sarà spietata: non lo sono. Non c’è la benché minima traccia di Lovecraft in Alien.


Indice:

Alien Cthulhu by packratstudios (2011)


Il mito di Dan Lovecraft

Sia alla rivista specialistica “Fangoria” nel 2005 che al discorso di ringraziamento per il premio del Lovecraft Film Festival del 2009 Dan O’Bannon racconta del suo primo incontro con lo scrittore di Providence. A seconda del racconto, aveva undici anni (1957) o dodici (1958) quando trovò una vecchia antologia dalla copertina rovinata, in un qualche negozio, che comprò per pochissimi spicci. In entrambe le occasioni Dan ricorda perfettamente nome e curatore: «Science Fiction Omnibus a cura di Groff Conklin».

Grazie a questo volume Dan ha letto per la prima volta un’opera di Lovecraft, cioè The Colour Out of Space, pubblicata niente meno che da Hugo Gernsback (il celebre editore da cui il Premio Hugo) sulla sua rivista “Amazing Stories” nel settembre 1927. Grazie a ISFDb sappiamo che il citato Groff Conklin ha inserito quel racconto di Lovecraft in diverse sue antologie, dal 1952 di Omnibus of Science Fiction (562 pagine al prezzo di 3,50 dollari) fino al 1956 di Science Fiction Omnibus (187 pagine al prezzo di 35 centesimi): propendo per quest’ultima edizione, che aveva solo uno o due anni d’età quando Dan l’ha trovata.

Da notare che all’epoca il racconto in questione era ancora sconosciuto in Italia, visto che sarà raccolto nel numero 310 di “Urania” (16 giugno 1963), con la traduzione di Sarah Cantoni e i titolo Il colore venuto dal cielo.

Ecco cosa racconta Dan nel 2009:

«Rimasi sveglio tutta la notte a leggere [quel racconto] e mi ha terrorizzato. Uno degli elementi della storia era la vegetazione che cresceva fuori stagione, e quando l’ho letto eravamo nel pieno dell’inverno negli Ozark. Il giorno dopo uscii e per terra era tutto coperto di neve, ma vidi in un punto una rosa che fuoriusciva dal manto nevoso: quella cosa mi spaventò a morte. Dopo di che ho cercato tutti i lavori di Lovecraft, molto difficili da trovare negli anni Cinquanta: non molti erano pubblicati in volume.»

Tralasciando quest’ultima affermazione, nel raccontare la stessa identica storia nel 2005 a “Fangoria” aggiunge, palando di Lovecraft:

«Ero affascinato dal suo profondo senso immaginifico. Ovviamente era un’immaginazione morbosa, ma andava bene: io ho un gusto morboso. In un certo modo oscuro, gli scritti di Lovecraft sono ciò che puoi definire investiti da un senso di paranormale. Lovecraft era in grado di aggiungere qualità spaventose alle sue storie. Pochi altri autori sono in grado di farlo. Sono stato sempre un grande ammiratore del suo lavoro, ed Alien era fortemente ispirato da Lovecraft, ad eccezione del fatto che lui ha ambientato tutte le sue storie qui sulla Terra. I Grandi Antichi vengono da noi: in Alien, siamo noi ad andare da loro. Si potrebbe dire che l’alieno sia una versione più piccola degli Antichi.»

Il giudizio sarà più sfumato nel 2009, quando affermerà che «Ci ho provato seriamente con Alien [ad adattare lo stile di Lovecraft per il cinema]»: se parla di “provare”, significa che pensa di non esserci riuscito? Comunque poi spiega: «Credo che Alien cerchi di ricreare una certa qualità di Lovecraft, anche se la trama è completamente differente: parlo però di atmosfere. Potrebbe esserci riuscito, il che sarebbe molto gratificante per me». Visto che Dan non ha avuto alcun ruolo nella creazione dell’atmosfera di Alien, non è chiaro perché si dovrebbe sentire gratificato.

Sin dall’inizio Dan vuole mettere in chiaro ciò che lui considera collegamenti letterari. «È un’opera di terrore fantascientifico… molto lovecraftiana», definisce Alien intervistato da “Phobos” nell’estate del 1977. Ma negli anni Settanta l’esplosione del paranormale genera così tanti contagi memetici, fusi poi con storie di finzione, che limitarsi a Lovecraft è davvero fuori discussione.

Va però ben specificato che tutti questi commenti e giudizi sono dati a decenni di distanza e partono da un presupposto totalmente errato: cioè che Dan O’Bannon abbia scritto il film Alien che abbiamo visto al cinema. Forse è il momento di chiarire la questione.


Breve storia di Alien

Già ho abbondantemente raccontato la storia del film Alien (1979), lasciando da parte ogni leggenda, trivia, curiosità, “Dieci cose che non sai su Alien” e fantasiose ricostruzioni varie, limitandomi a riportare le dichiarazioni dei diretti interessati: qui di seguito la riassumo brevemente.

Insoddisfatto di non aver iniziato una luminosa carriera nel cinema come Dark Star (1974) lasciava supporre, Dan O’Bannon si ritrova depresso a casa dell’amico Ronald Shusett e insieme decidono di iniziare a scrivere sceneggiature da vendere al ricco mondo del cinema: l’accordo prevede che prima scriveranno un copione dal titolo Star Beast e subito dopo uno dal titolo Total Recall.

Per la sceneggiatura che in seguito sarà chiamata Alien O’Bannon e Shusett hanno le idee chiare: il loro obiettivo è creare un filmetto spicciolo per Roger Corman, autorità assoluta del cinema di serie B, così che O’Bannon possa farsi le ossa come regista ed iniziare finalmente la sua grande carriera nel cinema. Il sogno si infrange quando un amico comune porta la sceneggiatura all’attenzione di Walter Hill, che la legge e la considera pura spazzatura scritta male… però quella scena con l’alieno che fuoriesce dal petto di uno dei protagonisti è qualcosa di davvero intrigante. Ne parla al socio David Giler e convincono l’amico Alan Ladd jr., all’epoca direttore dalla Fox, a produrre il film, visto che il successo di Guerre stellari ha dimostrato un forte interesse del pubblico per storie nello spazio. Questo manda all’aria i piani di O’Bannon e Shusett, ma non si può rifiutare l’offerta di una grande casa come la Fox.

Nel 1976 Walter Hill e David Giler prendono la sceneggiatura di O’Bannon e Shusett e buttano via le parti copiate da altre opere, cioè il 90%. Hill inventa la grintosa Ripley, Giler inventa l’androide Ash e man mano prende forma il film come noi l’abbiamo visto al cinema, che è solo un fantasma dello Star Beast originale. La Fox vuole un regista affidabile, non un inaffidabile esordiente come O’Bannon, quindi incarica Hill che però ha altri progetti in corso – e in fondo non si trova a suo agio con la fantascienza, che detesta – così alla fine sale a bordo il giovane “straniero” (perché britannico) Ridley Scott, che viene subito aggredito da O’Bannon e Shusett nel disperato tentativo di portarlo dalla loro parte, e controbilanciare l’astio aperto dimostrato dalla Brandywine e dalla Fox.

Ridley Scott scopre il Necronomicon

Scott è un genio visivo che non sa nulla di nulla di contenuti. Non sa cosa sia Lovecraft, non sa cosa sia un Necronomicon, non sa cosa sia “Métal Hurlant”, chi siano Moebius e H.R. Giger: tutte cose che O’Bannon gli mette davanti e che negli anni a seguire Scott nelle interviste farà proprie. Quando Scott si presenta alla Fox con i disegni di Giger, il budget viene immediatamente raddoppiato ma comunque si parla di una produzione molto economica: tante idee dovranno essere tagliate, soprattutto quelle più legate ad atmosfere lovecraftiane “posteriori”, che in realtà arrivano da Giger e che nessuno all’epoca ha pensato di collegare allo scrittore di Providence.

La guerra è spietata: da una parte Brandywine (Walter Hill e David Giler) e la Fox (Alan Ladd jr.) che non si fidano del giovane Scott perché sta troppo a sentire quei pazzi squinternati di O’Bannon e Shusett, che ogni giorno propongono idee costose ed irrealizzabili. Grazie a tecnici di grande talento, all’innegabile genio visivo di Scott e alla potente grafica di Giger quel coacervo di scopiazzate che è Alien – che copia da opere tutte non-lovecraftiane – riesce ad essere un successo, e nei decenni successivi ognuno degli interessati se ne prenderà l’intero merito. L’unico a non farlo è Walter Hill, il vero autore di ciò che noi abbiamo amato in video, che rimane in silenzio: il suo nome è stato strappato dai titoli di testa grazie ad una vertenza sindacale promossa da O’Bannon. Hill sa che ad Hollywood chi si rivolge al sindacato ha finito di lavorare e tace: lui ha continuato a lavorare per decenni con grandi case, O’Bannon no.

In tutto questo, quanto c’è di ispirazione lovecraftiana? Solamente ciò che ha ispirato Giger negli anni precedenti durante la creazione della sua celebre opera Necronomicon. Cioè la parola che dà il titolo alla raccolta, totalmente slegata da qualsiasi opera di Lovecraft.


No Lovecraft in Alien

Una sceneggiatura frutto di infiniti rimaneggiamenti di ben quattro autori, diversissimi tra di loro, è difficile da trattare come un corpus unico, sebbene O’Bannon e Shusett per decenni siano andati in giro a dire fosse interamente frutto del loro talento. (Curioso che nessun giornalista abbia notato che i due “autori” non hanno mai citato Ripley, l’androide di bordo, la Compagnia e altri elementi a loro ignoti, perché frutto delle idee di Hill e Giler.)

Walter Hill non fa segreto di mal sopportare la fantascienza, quindi è molto difficile ipotizzare un qualsiasi riferimento lovecraftiano da parte sua, mentre O’Bannon è troppo affascinato dall’esoterismo anni Settanta per preoccuparsi di uno scrittore di quarant’anni antecedente. Nel dicembre del 1974 ha un discreto successo il saggio The Zeta Reticuli Incident, con cui Terence Dickinson racconta del rapimento alieno subìto dai coniugi Barney e Betty Hill nel 1961: è altamente probabile che sia un omaggio a questo “mistero misterioso” il fatto che l’astronave di Alien si ritrovi a Zeta II Reticuli. (Che nel doppiaggio italiano diventa «Zeta due su reticolo».)

Tra gli appassionati degli anni Settanta ha grande risalto la piramidologia, raccontata in saggi di grande richiamo come Pyramid Power: The Millennium Science (1973) di Patrick Flanagan, L’energia della piramide (1974; in Italia dal 1977) di Max Toth e Greg Nielsen e Secret Forces of the Pyramids (1975) di Warren Smith. È molto più probabile che O’Bannon pensasse a queste idee contemporanee piuttosto che alle strutture antiche de Le montagne della follia di Lovecraft.

«Il tunnel cominciava nel seminterrato di una grande struttura piramidale che durante la ricognizione aerea ci era parsa ben conservata».

È davvero facile scorgere in queste parole di At the Mountains of Madness (1931) l’ispirazione per la scena con l’equipaggio della Nostromo che si addentra nella misteriosa piramide ritrovata sul pianeta alieno (mai girata per motivi di costi), ma sarebbe una forzatura, visto che la scena è stata scritta a ridosso dell’esplosione della piramidologia esoterica degli anni Settanta.

La celebre creatura aliena è stata concepita da H.R. Giger per la pagina 65 del suo Necronomicon (1977), raccolta di dipinti che non vanta il minimo collegamento con le opere di Lovecraft se non il titolo. Avere in copertina una figura satanica lo lega molto di più all’iconografia degli anni Settanta che degli anni Trenta. Il comportamento della creatura è un plagio dell’Ixtl, uno dei mostri alieni del romanzo Crociera nell’infinito (The Voyage of the Space Beagle, 1950) di A.E. Van Vogt, autore che fece causa alla Fox e ricevette un accordo sotto banco di cinquanta mila dollari di risarcimento. Quindi, di nuovo, niente Lovecraft, sebbene l’Ixtl sia nato sulle riviste pulp degli anni Trenta.

Il facehugger originale di O’Bannon è dotato di tentacoli, e questo particolare potrebbe lasciar intendere un vago rimando a figure tentacolari dell’immaginario lovecraftiano, ma il comportamento e la successiva iconografia del mostro sono troppo legati al film Fiend Without a Face (1958) per pensare davvero ad altre ispirazioni.

Risulta difficile trovare intenzionali rimandi alle opere di Lovecraft in Alien (1979), ma non va comunque dimenticato che l’interesse di Dan O’Bannon per quelle tematiche è andato crescendo nel corso degli anni.


Progetto Prometeo

Verso la fine del 2009 Michael Costigan, capo della casa produttiva Scott Free Productions fondata da Ridley Scott, chiama per una chiacchierata lo sceneggiatore Jon Spaihts, colpito da alcuni suoi lavori. Fra i vari progetti che vengono discussi fa capolino qualcosa di “alieno”: Costigan dice a Spaihts che da tempo vorrebbero tornare in quel franchise ma non hanno idea di come fare. Visto che i vari seguiti hanno intorbidito le acque, si pensa ad un prequel di Alien ma non riescono a trovare qualcosa che valga la pena. Il giovane sceneggiatore coglie la palla al balzo e per i successivi quarantacinque minuti sforna, seduta stante, idee su idee per un nuovo film alieno: Costigan è così stupefatto che chiama subito Ridley Scott. Dieci giorni dopo Spaihts si ritrova seduto davanti a Scott e due produttori della 20th Century Fox. L’Untitled Alien Prequel può partire.

Nell’entusiasmo di ritrovarsi a lavorare per nomi così importanti, Spaihts valuta che la lusinga è sempre l’arma migliore: perché, come lui stesso si diverte a raccontare, non scrivere una storia che fonda la ricerca del creatore di Blade Runner (1982) con la vicenda di Alien (1979)? Ma non l’Alien visto al cinema, bensì quello che Scott non ha potuto girare per problemi di tempi e costi. Così ecco degli archeologi mettere insieme degli indizi lasciati sparsi nell’universo (che nel film finito rimarranno invece solo sulla Terra, per ragioni di costi) portare tutti verso un pianeta: difficile stabilire quanto di questo soggetto sia idea di Spaihts e quanto derivi dall’episodio 6×20 di “Star Trek: The Next Generation”, che lo presentava straordinariamente simile nel 1993.

Il castello degli Harkonnen di Giger per Dune recuperato da Scott per Prometheus (2012)

Dal momento in cui i protagonisti scendono sul pianeta misterioso, Spaihts si limita a ricopiare l’Alien originale mai girato: ecco così spuntare la piramide che Walter Hill aveva cancellato nel 1976, anche se qui ha la forma del Castello degli Harkonnen che H.R. Giger aveva disegnato nel 1975 per il Dune di Jodorowsky. I nostri eroi trovano un cadavere di una razza aliena ma stavolta ne sanno di più non grazie ai bassorilievi della piramide bensì grazie ad una registrazione olografica che racconta loro gli ultimi momenti di quegli esseri: curiosamente una scena che già si trova identica nel romanzo originale Aliens: Steel Egg (2007) di John Shirley. Spaventato da uno degli ologrammi, Holloway inciampa e cade in una fossa, dove incontra un facehugger che lo insemina: il chestbuster gli spaccherà il petto più avanti, quando sarà intento a fare l’amore con la dottoressa Shaw. Una scena di grande impatto purtroppo subito cancellata dal copione.

Cover di David Palumbo

L’androide della missione, David, capisce tutto prima degli umani, capisce che la nave al fianco della piramide ha un carico di armi biologiche di potenza spaventosa dirette alla Terra, per spazzar via l’esperimento degli ingegneri di millenni prima: quando uno di quegli esseri “donò” il proprio DNA agli uomini primitivi, spingendoli ad evolvere in uomini moderni. L’androide non stima gli umani e decide di assolvere alla missione incompiuta degli Ingeneri, iniziando con il lasciando infettare la dottoressa Shaw ponendole davanti un facehugger. Anche questa scena cruenta con la Shaw protagonista viene subito cancellata, sostituita da un’inseminazione… nel vero senso della parola!

Rimane invece la scena che, secondo le dichiarazioni di Spaihts stesso nell’audio-commento del film, è quella che gli è valsa il lavoro, avendo colpito regista e produttori: l’idea per cui la Shaw infettata si auto-operi per estirparsi dal ventre il feto alieno.

Proprio come i replicanti di Blade Runner rimangono insoddisfatti dell’incontro con il creatore, così Spaihts rende volutamente distruttivo l’incontro con l’Ingegnere in stasi criogenica: ci era stato messo perché infettato, quindi appena risvegliato l’essere fa appena in tempo a far partire la nave prima di morire con il petto squarciato da un chestburster. Colpita dalla Prometheus, la nave crolla: dalle sue rovine fuoriesce lo xenomorfo nato dall’Ingegnere, pronto a minacciare i superstiti.

Questa bozza, ricostruita mettendo insieme le dichiarazioni che Spaihts ha rilasciato nel 2012 a riviste e audio-commento, è lo scheletro di una storia “furbetta” (perché chiaramente debitrice di due dei pochi grandi successi di Ridley Scott) ma ancora comprensibile. Al momento di iniziare la produzione, però, la Fox non ha voluto alla sceneggiatura un nome sconosciuto bensì qualcuno di già sicuro successo: l’arrivo di Damon Lindelof e del suo stile “alla Lost” ha distrutto ogni speranza di ottenere un film anche solo vagamente accettabile. La riscrittura completa della storia con l’intento chiaro e dichiarato di non far capire una mazza di niente, perché solo così gli spettatori si appassionano – secondo quanto candidamente afferma Lindelof – priva di significato ogni singola scena vista in Prometheus, dove nulla ha senso, né in generale, né in rapporto fra una scena e l’altra, né tanto meno in rapporto a quell’Alien di cui in origine doveva essere prequel: infatti gli autori non lo chiamano più così. Ulteriori tagli per motivi di tempo hanno ucciso qualsiasi scintilla rimasta vagamente attiva.

Può esserci qualche riferimento a Lovecraft in questa storia scritta con l’unico obiettivo di non essere capita? Curiosamente sembra di sì, visto che Prometheus all’apparenza è il film più lovecraftiano dell’universo alieno, invece di nuovo la risposta definitiva è una sola: no.


La “scienza” degli Ingegneri

Negli anni Settanta il mondo occidentale esplode: presenti da sempre nelle pieghe della propria cultura popolare, le tematiche esoteriche di ogni genere e provenienza ricevono un incremento di interesse ignoto alla società umana precedente. Dopo decenni di totale, profondo e convinto disinteresse per Lovecraft e le sue tematiche finalmente il pubblico generico rivaluta l’autore, ed ora sono tutti suoi fan da sempre: sarà un caso, ma sono proprio gli anni in cui le sue tematiche d’un tratto dal mondo della fantasia passano a quello della probabilità scientifica. Tra mille virgolette, ovviamente.

Sulla rivista scientifica “Icarus” (Volume 19, n. 3, luglio 1973, pagine 341-346) Francis Crick, celebre co-scopritore insieme a James Watson della struttura a doppia elica del DNA, e Leslie E. Orgel firmano un articolo in cui affrontano tematiche che in realtà studiano dal 1960. Ecco la loro sintesi dell’articolo “Directed panspermia“:

«Oggi ci sembra inverosimile che organismi extraterrestri vivi possano raggiungere la Terra in forma di spore, spinti per pressione radiale da un’altra stella o trasportati all’interno di un meteorite. Come alternativa a questi meccanismi del XIX secolo, abbiamo considerato la Panspermia Diretta, la teoria per la quale gli organismi siano deliberatamente trasmessi alla Terra da esseri intelligenti di un altro pianeta. Concludiamo che è possibile che la vita abbia raggiunto la Terra in questo modo, ma al momento le prove scientifiche sono inadeguate per poterne stabilire la probabilità. Faremo attenzione alle future prove che potranno fare luce sull’argomento.»

Queste sorprendenti affermazioni ci forniscono tre informazioni: 1) nell’Ottocento già si parlava abbondantemente di vita portata sulla Terra dalle comete; 2) Nel 1973 si afferma chiaramente che sono stati gli alieni a crearci volutamente; e 3) che vincere un Premio Nobel non vuol dire essere una persona di buon senso.

Nota già ad Anassagora nel V secolo a.C., la panspermia imperversa nell’Ottocento ed è facile che dagli studi di quell’epoca abbia tratto ispirazione Lovecraft per racconti come Il colore venuto dallo spazio (1927), con la sua cometa che porta sulla Terra una forma di vita aliena pesantemente invasiva e mutagena. Ma come si è potuto leggere è sicuramente dai seguaci delle ideologie di Crick e Orgel che nasce l’idea di Prometheus (2012), cioè di una cultura aliena che abbia volutamente creato la razza umana, anche se per scopi ignoti, atterrando sulla Terra e immettendo fisicamente particelle di DNA in un ambiente che ne era privo. (Se questo abbia generato anche il resto della vita sul nostro pianeta è ignoto, ma è molto più facile che abbia generato esclusivamente la razza umana: i fautori di queste teorie raramente riflettono con raziocinio su ciò che esce dalle proprie penne.)

Probabilmente ispirato dalle ricerche degli anni Sessanta di Crick e Orgel o semplicemente grazie ad idee esoteriche che giravano già dall’Ottocento, lo svizzero Erich von Däniken pubblica il suo saggio Erinnerungen an die Zukunft, subito portato in Italia da Ferro nel 1969 con il titolo Gli extraterrestri torneranno. Il libro gode di enorme fama nei Paesi anglofoni, con il titolo interrogativo Chariots fo the Gods?, e le tesi secondo le quali un’avanzata società aliena avrebbe visitato la Terra per dare “spinte evolutive” alla razza umana è entrata in modo permanente nell’immaginario esoterico comune, tanto che Paul W.S. Anderson non resiste ad immaginare che quella società aliena fosse quella dei Predator, come si vede all’inizio del film AVP: Alien vs Predator (2004).

Non stupisce che questi “argomenti caldi” abbiano spinto nel 1977 un filosofo italiano, tale Alan Sorrenti, a cantare «Noi siamo figli delle stelle…»

Ad una domanda precisa dell’intervistatore della rivista “Screem” (aprile 2012), Jon Spaihts risponde: «Posso dire che lo spettatore attento potrebbe notare qualche traccia di von Däniken in Prometheus. Non posso dire altro». È molto più plausibile che siano queste le fonti del film, piuttosto che temi lovecraftiani che nessuno dà segno di conoscere.

Dipinto di Ron Cobb per l’interno della piramide, da La storia di Alien (1979)

In realtà, ad essere onesti, nell’audio-commento del film Spaihts è l’unico a citare Lovecraft, mentre Ridley Scott e Damon Lingelof non ne fanno menzione. Parlando della sala dei bassorilievi all’interno della piramide butta lì un commento su una «camera di Lovecraft» a cui farebbe riferimento, ma visto che la scena è la fotocopia esatta della camera dei dipinti di Alien (1979), cancellata in pre-produzione per motivi di tempo e costi, forse il suo è un modo di dire, riferendosi ad un “modo lovecraftiano” di gestire la situazione.

«Quei dipinti erano spaventosi: raffiguravano mostri orrendi di varia forma e grandezza, che scimmiottavano l’uomo in maniera grottesca e indescrivibile.»

Questa citazione da L’orrore a Red Hook (1925) può dare un’idea del concetto, e molto più attinente è invece questa citazione da La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath (1926-27):

«Sui muri di questi corridoi erano state dipinte scene spaventose più antiche della storia stessa, in uno stile pittorico del tutto alieno agli archeologi della Terra. Dopo interi millenni, il loro pigmento era ancora brillante, perché l’aria fredda e secca dell’orrenda regione di Leng manteneva in vita molti oggetti primitivi. Carter vide quelle scene alla debole luce della lampada fioca e tremolante, e rabbrividì nel comprendere ciò che raccontavano.»

Forte è la tentazione di far risalire a queste atmosfere la fonte della scena in cui i protagonisti trovano la stanza con raccontata la razza aliena, prima in Alien – anche se cancellata dal film – e poi in Prometheus, ma visto che per quella scena O’Bannon ha attinto in modo pesante da Terrore nello spazio (1965) di Mario Bava, è difficile pensare che gli “antichi” di Alien abbiano qualcosa a che vedere con gli Antichi di Lovecraft.

Per lo stesso motivo è davvero difficile non scorgere nella trama di Prometheus, molto più che in Alien, un richiamo a Le montagne della follia (1931), con gli esploratori che vogliono spingersi sempre più in là – anche oltre ciò che è umano – per scoprire verità che cambierebbero la concezione che l’umanità ha di se stessa: mentre gli esploratori di Lovecraft tra i ghiacci trovano i resti di una civiltà precedente alla razza umana, quelli di Scott trovano gli stessi resti ma di un laboratorio di quella civiltà, i cui esperimenti hanno portato alla nascita stessa della razza umana. E all’arma preposta a distruggerla.

Va però ricordato che proprio la fama che ha interessato Lovecraft dagli anni Settanta in poi ha reso “canone” alcune sue trovate, in seguito talmente usate ed abusate che diventa molto difficile capire se si stanno citando le origini o ci si sta semplicemente rifacendo ad un luogo comune della narrativa. Visto poi che Spaihts nello scrivere Prometheus ha semplicemente riproposto la trama dell’Alien che non si era potuto girare, limitandosi giusto a rendere “voluta” la missione invece che obbligata, risulta implausibile pensare a qualsiasi citazione lovecraftiana. Molto più possibile una semplice aggiunta degli “dèi” di von Däniken per spiegare il “pilota mummificato” del primo film. (Peraltro già splendidamente spiegato nel 1988 dal fumetto Aliens: Book I di Mark Verheiden, e spiegato di nuovo nel 1999 nel fumetto Aliens: Apocalisse: il primo fumetto è stato ignorato, mentre nel secondo c’è più di una sospetta rassomiglianza con Prometheus.)

Hicks e Newt incontrano un Pilota… prima che Ridley Scott fottesse il personaggio in Prometheus

Il film Prometheus si chiude con una creatura che è impossibile non considerare proveniente dall’immaginario lovecraftiano, eppure… non c’è alcun legame con esso. La nascita di quello che viene chiamato Trilobite è molto più banale: eccome come il suo creatore, Arthur Max, ne racconta l’origine su Prometheus: The Art of the Film (Titan Books 2012).

«È basata su diverse cose. Una delle prime idee è che volevo sembrasse una creatura del Cambriano, una di quelle che puoi comprare on line in versione pietrificata e che si chiamano Trilobite, che praticamente sono artropodi molto antichi. Questa aveva un aspetto particolare perché pietrificata e mi è stata d’ispirazione. Inoltre guardando i disegni del fumetto The Long Tomorrow di Jean Giraud, abbiamo scoperto una scena in cui il protagonista viene aggredito da un futuristico polipo alieno.»

Quindi l’unico fumetto firmato da Dan O’Bannon, l’unico suo contributo alla rivista “Métal Hurlant” – nato quando lui e Giraud credevano ancora nel progetto Dune (1975) di Jodorowsky – il fumetto che ha dato a Scott l’idea che dovesse avere la città futura di Blade Runner (1982), continua ad ispirare, stavolta l’universo alieno. Così Prometheus riesce a ricopiare ben due lavori di O’Bannon.

In pratica Scott conosce solo questo fumetto, di “Métal Hurlant”

L’Ingegnere che subì un destino scritto nel 1976

Max poi racconta che mentre era a Firenze per fotografare il Davide di Michelangelo ha visitato un museo medico del XIX secolo che conservava alcuni animali. «C’era questo calamaro gigante sotto formaldeide in un enorme contenitore di vetro: ne mostrai delle foto a Ridley e lui disse “Ecco, è la qualità che voglio nella creatura”.»  Come sua abitudine nelle interviste, Scott fa suo il contributo dei suoi collaboratori e così racconta nell’audio-commento del film:

«Avevo delle foto di un polipo in un barattolo pieno di formaldeide. E la disintegrazione della carne, che è tutta gialla e morta, è meravigliosa. Optammo per questo. […] Optammo per qualcosa di vero. Non volevo che fosse un polipo, e alla fine non lo è. È qualcos’altro.»

Sarebbe facile vedere nella creatura tentacolata quell’immagine moderna degli Antichi di Lovecraft, autore che preferiva l’oscurità tentacolare alle creature tentacolate, ma come si vede non c’è alcuna prova che lo scrittore fosse nella mente degli autori del film.

Il trilobite nato da un polpo in formaldeide


Il Necrodanicon

Grazie al successo del film Alien (1979), Dan O’Bannon ha rilasciato un numero enorme di interviste dal 1979 alla sua morte, nel 2009: impossibile recuperarle tutte, ma le tante lette (e tradotte per questo blog) fanno intuire che solamente in età avanzata lo scrittore si sia appassionato al Necronomicon. Intendendo con questo titolo non l’opera omonima di H.R. Giger che mostrò a Ridley Scott per convincerlo ad assumere l’artista svizzero, bensì il celebre “libro falso” di Lovecraft.

Nella citata intervista di “Fangoria” del 2005, quando si arriva all’immancabile sezione dedicata ai “progetti futuri” il giornalista ci informa che «uno dei progetti che O’Bannon ha in corso è un’opera già tentata da altri artisti in precedenza: la nuova e definitiva versione del The Necronomicon»: va specificato che “nuova” e “definitiva” sono aggettivi usati a sproposito, visto che il libro non esiste e semmai ad esistere sono opere che si divertono ad immaginarlo. Racconta Dan:

«Negli ultimi quarant’anni ci sono stati un paio di libri pubblicati con il titolo The Necronomicon. Be’, mi spiace doverti dire che quei libri sono frodi: non sono il Necronomicon. Questa è la prima volta che il vero contenuto del Necronomicon sarà reso pubblico. Sfortunatamente, l’autore Jean-Baptiste Cohen è deceduto. È morto giovane, nel 1999 all’età di 25 anni, e non ha finito questo lavoro particolare. Ha scritto la maggior parte della dissertazione, ma è morto senza completarla. Devo completare l’ultima parte.»

È davvero un gran dispiacere sapere che opere che si inventano un libro che non esiste sono in realtà finzioni, mentre è davvero curioso scoprire che solo O’Bannon ha il vero libro, e lo renderà pubblico. Cosa che, ovviamente, non si è mai avverata come la stragrande maggioranza dei progetti anticipati dallo scrittore.

«È stato scritto da uno studioso arabo. Il tema centrale del Necronomicon è che il nostro mondo, la Terra, è stata un tempo abitata da un’altra razza, che praticando la magia nera ha perso il diritto di stare qui ed è stata espulsa. Lo stesso ha continuato a vivere fuori dal reale, in attesa di poter tornare di nuovo in possesso della Terra. E il Necronomicon contiene indicazioni per affrettare il loro ritorno, oltre ad altri riti magici per scacciarli. Questa è la base del contenuto del libro.»

Né il giornalista né Dan ricordano ai lettori che quanto appena raccontato è semplicemente la trama di un racconto di Lovecraft, che per motivi ignoti alla razza umana O’Bannon sta spacciando per “verità scottante”, confondendo un gioco letterario con tematiche esoteriche che in fondo ha sempre dato prova di apprezzare.

Anche Grumpy Cat legge il Necronomicon

«Quando ho comprato per la prima volta il Necronomicon morivo dalla voglia di leggerlo», continua O’Bannon. «Ero davvero interessato. Credo fosse l’edizione britannica scritta da Colin Wilson. Mi piacque ma mi delusero molto le parti che decisero di pubblicare». Non è chiaro di cosa stia parlando, forse si riferisce a quella “Introduzione” del 1978 in cui Wilson racconta di come ha scoperto che il padre di Lovecraft appartenesse alla Massoneria Egiziana fondata da Cagliostro: un orgasmo multiplo per gli amanti dell’esoterismo. Però, di nuovo, non ha nulla a che vedere con un espediente letterario usato per “giocare” con gli altri scrittori che, negli anni Trenta, citarono più e più volte il Necronomicon nei propri racconti di finzione su riviste di genere. O’Bannon invece parla come se il contenuto dello pseudobiblion (definito falso dal suo stesso autore) fosse più che vero e plausibile.

«Un paio di anni dopo ne uscì un’altra versione, questa volta americana. La comprai, la portai a casa ed ebbi la stessa reazione: erano edizioni davvero indegne di Lovecraft, si limitavano a riportarne il nome»: cos’altro potrebbero fare? Cosa mai può fare un autore di un libro che non esiste se non inventarsi qualcosa di suo? «È stata un’incredibile coincidenza, ma in quell’esatto momento entrai in possesso di una copia del lavoro di Cohen, e decisi che era il momento giusto per me di tradurlo in inglese e mostrare alla gente come dovrebbe essere il Necronomicon

Sabrina la Strega con il Necronomicon!

Intervistato dal sito Den of Geek nel 2007, il progetto pare giunto a conclusione:

«Alla fine senti di aver letto un romanzo, ma se vai a contare le pagine ti rendi conto che sono giusto una quarantina. Il mio Necronomicon è così: molto denso ma non molto lungo, altrimenti sarebbe stato noioso. Perciò è quasi completato, ma ho avuto varie cose nella vita privata che mi hanno impedito di finirlo.»

Il libro non vedrà mai la luce: i Grandi Antichi hanno impedito a O’Bannon di fornire agli umani un grimorio con le regole per aprire un passaggio fra i rispettivi universi. Non possiamo che essere loro grati per questo.


L.

by packratstudios (2011)

– Ultime indagini:

21 pensieri su “No Lovecraft in Alien (2020)

    • E pensare che un paio di mesi fa ho iniziato la ricerca più che convinto che almeno qualche piccolo legame con Lovecraft si potesse trovare: possibile che quel polipone di Prometheus non fosse una strizzatona d’occhio a creature lovecraftiane? Macché, HPL è troppo intellettuale per le fonti di questi film 😀
      Magari alcuni parlano del “Necronomicon” come “i racconti di HPL e seguaci con protagonista il Necronomicon”, in buona fede, ma di certo si è creato e si crea l’equivoco. Ciò che mi manda ai matti è che sia pieno di pagine in Rete di gente che ricopia la “Storia del Necronomicon” di Lovecraft come fosse vera: possibile sia così difficile capire la differenza fra un racconto fantastico e la realtà? Alla base di questa situazione purtroppo si nasconde un problema molto più generale: l’incapacità di chi dà informazioni di sapersi esprimere e l’incapacità di chi le riceve di capirle. E’ una piaga che nessuno Necronomicon potrà combattere…

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  1. Pingback: Lovecraft 130 – La cupa voliera del Conte Gracula

  2. Di solito consiglio il tuo ciclo su Alien a chi mi viene a dire che Ridley ha “inventato” Alien, questo post è ancora più comodo, trattandosi di una versione più breve, non potranno nemmeno dirmi che é troppo da leggere (anche se lo faranno lo stesso). Grandissimo post, seguendoti quotidianamente sui tuoi vari Blog é impressionante il modo in cui hai messo insieme tutti i vari pezzi presi dalle tue indagini. Cheers!

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  3. Non conosco abbastanza a fondo l’universo di Alien per poter confermare o dissentire. Tuttavia quando sento parlare di piramidi il primo nome che mi salta in mente è quello di Nyarlathotep, creatura dalle mille forme, alcune delle quali non molto dissimili da uno xenomorfo. Si potrebbe quindi dire che Alien sia l’ispiratore di coloro che hanno immaginato Nyarlathotep …

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    • E’ partendo da queste immagini che è nata la leggenda di collegamenti a Lovecraft in Alien, ma una volta scoperto che lo xenomorfo ha tutt’altre origini – sia come immagine che come comportamento – diventa molto difficile rimanere nel campo delle immagini.
      E’ ovvio che guardando superficialmente “Prometheus” venga subito in mente una versione moderna de “Le montagne della follia”, poi basta sentire gli autori che raccontano la nascita per scoprire che sono tutt’altre le ispirazioni.

      Lovecraft non nasce dal nulla, le sue idee non sono originali, semplicemente per i suoi racconti ha usato tematiche esoteriche di gran moda nella sua epoca, e quando negli anni Settanta le stesse identiche tematiche sono tornate di moda altri hanno fatto lo stesso, cioè le hanno prese e inserite nei proprio racconti.
      Mi sembra assurdo guardare ad un autore a malapena noto, di quarant’anni prima, quando “Alien” è stato scritto con gli scaffali delle librerie piegati dal peso di decine di saggi di piramidologia, UFO e alieni vissuti prima della razza umana.
      Senza poi dimenticare che tutto nell’Alien originale è copiato da fonti ben riconoscibili – ne ho già parlato approfonditamente in altre sedi – e NESSUNA di queste fonti può anche solo vagamente essere accostata a Lovecraft.
      Come detto, ognuno può divertirsi a trovare ciò che vuole in Alien, ma di prove certe di contaminazioni lovecraftiane non ne esiste neanche l’ombra.

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      • In effetti, le influenze degli azzardi sulla cosiddetta panspermia pilotata e le contaminazioni esoteriche e fanta-archeologiche (chi ha letto qualcosa nei ’70 sa di che si parla, appunto) sono molto più evidenti rispetto alle del tutto ipotetiche (come si è visto) suggestioni lovecraftiane…
        Complimenti per questo post il cui livello di approfondimento è, per rimanere in zona Lovecraft, assolutamente COSMICO 😉👍👍👍

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      • Grazie per il “cosmico” ^_^
        E non ho citato i libri di Peter Kolosimo, che in Italia andavano fortissimo. Nei Settanta era pieno di autori che da ogni medium trasformavano in “scienza” (fra mille virgolette) quelle nozioni che già Lovecraft aveva conosciuto e usato per i propri racconti, non certo inventandole.
        Già gli antichi Romani erano affascinati dalle piramidi e dei loro misteri, già gli antichi Greci immaginavano una sorta di panspermia, e con le grandiose scoperte archeologiche di metà Ottocento, che hanno rivelato alla società occidentale antiche civiltà dimenticate, il piatto è servito: Lovecraft aveva già tutto pronto, doveva solo usarlo a suo modo e con il suo stile.
        Ecco perché pensare a lui come fonte è davvero difficile, quando si parla di certe tematiche.

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  4. Direi che i tempi sono propizi: è ora di scrivere un Necronomicon solo con ciò che ha scritto Lovecraft: tutte le formule magiche (compresa una rubata, se ricordo bene, dal Dogma e Rituale dell’Alta Magia di Eliphas Levi) scritte a corpo 12, interlinea doppia, solo fronte…
    Ne verrà una corposa brochure da piegare in tre, pratica da portare, l’ideale per le esigenze di maghi e cultisti impazziti!
    Dai, che facciamo in tempo per il prossimo Alien, in cui si scoprirà che gli xenomorfi li ha creati Skynet con la magia…

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    • Proprio perché parliamo di pochissimo testo le case editrici non ci hanno ancora pensato, preferendo la formula “I racconti del Necronomicon”, così da ristampare per la miliardesima volta economici testi di pubblico dominio (in Europa).
      Comunque da anni ho nel cassetto “Aliens vs Masters”, con Skeletor che nel cercare un’arma contro He-Man evoca uno xenomorfo che sfugge al controllo. Una fan fiction che si scrive da sola 😀

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  5. Adesso voglio leggere a tutti i costi la fan fiction di He-Man contro Skeletor contro lo xenomorfo. Secondo me con uno sforzo minimo ci si può infilare pure un bel Predator! 😛
    Gran bella iniziativa, questo blog tour, davvero.
    La mia prima esperienza con Lovecraft risale, ovviamente, a Dylan Dog (e lo so, sono ripetitiva…). Alla prima occasione però ho fatto in modo di procurarmi i suoi scritti, nella forma dei cinque volumi “Tutti i romanzi e i racconti” della Newton Compton, scoprendo che non si può non amarlo, con la realtà che si sfalda di pari passo con la sanità mentale, e con tutti i suoi mostri e orrori indicibili, indescrivibili, inimmaginabili. Sarà per questo che viene accostato ad Alien? Perché il mostro fa tanta più paura fino a che non viene mostrato, ma solo immaginato? Anche perché non c’è niente di tentacoluto in Alien…
    O forse, più prosaicamente, perché il libro di Giger si chiama Necronomicon?
    È una domanda per menti più elevate della mia, io sono molto più terra-terra, e ringrazio Lucius per avermi fatto capire (finalmente!) qualcosa della trama di Prometheus, dove le mutazioni aliene sono tanto mostruose e fantasiose quanto incoerenti, per non parlare del comportamento degli Antichi (e di gente che tocca alieni a caso, vabbe’…). È un bene appurare che Lovecraft non c’entra nulla: merita sicuramente omaggi migliori.
    Come sono secondo me i due racconti di King “Crouch End” e “N.”, spudorati, ma comunque dichiarati, e spaventosi abbastanza.
    Bellissimo quell’Alien Cthulhu.

    P.s. Lucius scusami, non so se capita solo a me, ma i tuoi link non funzionano, mentre con gli altri blog del tour non ho problemi. In ogni caso, ripeto, bellissima iniziativa. 😉

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    • Ti ringrazio e anche io ho conosciuto HPL con “Dylan Dog”, autentico distributore automatico di nomi e titoli. Era l’epoca d’oro della Newton quindi anch’io feci acquisti “ispirati”, come per esempio le poesie di Poe perché cercavo “Il Corvo”. Invece Lovecraft lo presi in una delle antologie Mondadori, ma onestamente ne ho avuto un’impressione totalmente opposta alla tua, non mi ha preso minimamente e anzi lo trovavo decisamente datato. Non riuscivo a provare niente di niente leggendolo, quindi me ne sono allontanato.

      Lindelof ha fatto in modo che la trama di Prometheus non si capisse perché lui è convinto che così lo spettatore si appassioni di più: siamo ai livelli di ragionamenti del tipo “Quando la donna non capisce, si innamora”, ma almeno Milani lo diceva per ridere! Lindelof è drammaticamente serio.

      Guarda, malgrado circa tre mesi di tempo alla fine quei link li ho dovuti gestire all’ultimo secondo e sicuramente avrò fatto casino, poi ci tornerò a dare una sistemata.

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  8. Mamma mia ho aperto un vaso di Pandora approdando a questo blog.
    Fin dalla gioventù sono un grande fan di Alien e di Guerre Stellari, e da grande lo sono diventato anche della fantascienza allucinante di Jodorowsky (la casta dei meta-baroni è diventato subito uno dei miei racconti a fumetti preferiti).
    Per me è stato meraviglioso, durante la visione del documentario su Dune, scoprire come insieme al progetto abortito dello psicomago siano sbocciate, incrociandosi, le influenze artistiche che hanno ispirato la nascita dei due franchising sopra citati.
    Sempre da grande mi sono avvicinato anche a Lovecraft, e fino alla lettura di questo articolo in cui svisceri i dietro le quinte (interessantissimi ma disilludenti, un po’ come l’incontro con il creatore/ingegnere), ho sempre sospettato una minima ispirazione diretta all’orrore cosmico® nella produzione di Alien.
    Non per la tentacolositá del trilobite in Prometeus, quanto per il senso di orrore e paura per l’ignoto che lo spazio buio in cui nessuno poteva sentirti urlare mi incuteva fin da piccolo, e quella creatura così diversa e perfetta da sopravvivere al vuoto dello spazio.
    Al netto di quanto ho letto su questo blog, e che continuerò a leggere (sto recuperando la tua storia di alien e approfitto di questa parentesi per farti i miei complimenti, è un lavoro impressionante), rimango della seguente idea che riguarda un’impressione strettamente soggettiva:
    Per me il primo alien è (seppur a quanto evidenzi nell’articolo, in modo evidentemente involontario per GLI autori) “lovecraftiano”, per gli innumerevoli incubi che ho fatto immaginando le creature gigeriane quiescenti nello spazio come un’antico cimelio polveroso, eppure letalmente infestante per qualsiasi avventore. Un esercizio di fantasia che mi risvegliava sgomento simile a quello descritto per i protagonisti di H.P., era immaginare il pianeta d’origine degli xenomorfi, un posto nero, senza ossigeno e imperturbabile allo scorrere del tempo.
    Tutta questa fascinazione dovuta principalmente al mistero sulle origini delle creature è stata delusa da Prometeus e Covenant, che infatti non mantengono nulla di quanto di “lovecraftiano” ci trovavo in Alien:
    (poco importa l’estetica del polipo), poiché si riconduce tutto all’opera di un sintetico (in pratica dell’uomo), che crea gli xenomorfi, non più delle entità antiche (come lo erano in AvP, che seppur un film caciarone, manteneva in me vive queste sensazioni), in un”’invenzione” giovane.
    Ribadisco che che con il termine lovecraftiano mi riferisco alla sensazione che il tema dell’orrore cosmico dovrebbe suscitare e non alla presenza di volute influenze, citazioni o rimandi all’autore, che come scrivi qui non ci sono.

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    • Ti ringrazio dei complimenti e ben trovato: incontrare nuovi amanti dell’universo alieno è la cosa più bella di gestire un blog 😉

      Onestamente non sono mai stato un fan di HPL, ci ho provato tanto – soprattutto nei primi Novanta, da lettore di Dylan Dog – ma proprio non sono riuscito a provare emozioni con i suoi racconti. Però ho sempre pensato che qualcosa di suo ci fosse nell’universo alieno, finché a forza di ascoltare le voci dei protagonisti e di indagare sulle origini più ampie ne sono rimasto disilluso.
      Fermo restando che l’autore non è mai padrone della propria opera, lo è chi la fruisce, quindi nulla ci vieta di avvertire un po’ di Lovecraft anche in Alien 😛

      Considera però che Alien è molto più contemporaneo rispetto ad HPL, autore dei primi dei Novecento che all’epoca era appena esploso ma era appunto un’eco del passato. Parliamo di un periodo in cui per la prima volta nella storia la rivoluzione sessuale del ’68 aveva portato la sessualità in narrativa, e questo ha comportato la nascita di qualcosa di ancora più taciuto: gli incubi che la sessualità può generare. Le opere di Giger sono perturbanti proprio perché raccontano una sessualità perversa, malata, che tocca corde che nessuno vuole toccare, e lo xenomorfo dalla lingua a pene che insidia la donna nel finale avrebbe fatto la gioia di Freud, che appunto usò un termine tradotto in italiano come “perturbante”. Un termine che in realtà indica ciò che provi quando tutto quello che credevi familiare… scopri non esserlo mai stato. Credevamo di conoscere la sessualità, poi Giger ci ha mostrato la sua parte più oscura e quello ha conquistato tutti. Tutto questo non si trova in Lovecraft, quindi penso che slegarsi da lui aiuti a viaggiare per nuovi lidi alieni.

      Come vedi sono tanti i punti di vista e le interpretazioni dell’universo alieno, tutte purtroppo ignote a un vecchio regista che poteva benissimo evitare dei film che dimostrano solo piattume intellettuale. (Parlo ovviamente di Prometheus e quella roba di Covenant.)
      Ancora benvenuto e spero ti piacerà la Storia di Alien raccontata qui nel blog (e che nessuno ha mai raccontato in questo modo!), in cui ho riversato anni di ricerche e “indagini”, sempre e solo con la voce dei protagonisti e mai ascoltando le voci di corridoio o i trivia di IMDb ^_^

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      • É un piacere per me leggere una tua risposta, peraltro interessante quanto l’articolo stesso. Certo, l’aspetto freudiamente archetipico delle opere di Giger è stato fondamentale per l’incisività dell’alieno nel mio inconscio di ragazzino (e conseguenti diuresi notturne), almeno quanto l’angoscia per l’ignoto da spazio profondo, da me forse un po’ forzatamente riconducibile a ciò che si intende per orrore cosmico made in HPL.
        Solo riguardo ad una cosa che scrivi ho una perplessità, sebbene ammetta di non aver letto Lovecraft abbastanza per contraddirti: da quel che so il musone di Providence era abbastanza sesso fobico, e almeno in opere dichiaratamente ispirate al suo immaginario (mi vengono in mente neonomicon di A.Moore e il recente cold skin) ho ravvisato un senso del perturbante simile a quello espresso in maniera più profonda da Giger. Non so davvero se e quanto questi temi fossero ricorrenti negli scritti originali di Lovecraft (che sebbene mi affascinino leggo con un po’ di fatica) ma se lo fossero, e la mia è una congettura, potrebbero aver influenzato lo svizzero che ha illustrato il suo di Necronomicon (non quello autentico dell’arabo pazzo O’Bannon 🤭).

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      • Il sesso e i suoi problemi fanno parte della narrativa da sempre, ma non si poteva dire: bisogna girarci intorno, usare iperboli, metafore, mezze allusioni, “capisci a me” e via dicendo: nel “Giovane Tôrless” (1909) Musil riesce a descrivere un atto sessuale forzato in collegio maschile senza mai nominarlo. Lovecraft scriveva su riviste degli anni Venti e Trenta, non è che si potesse permettere molta libertà, come invece potranno fare dagli anni Settanta in poi gli autori che lo hanno riscoperto, dopo decenni di oblio e totale disinteresse.
        Giger non accenna, non ammicca, non usa metafore: illustra coiti bio-meccanici profondamente disturbanti, cosa che HPL non avrebbe mai potuto fare. Può darsi benissimo che un po’ di ispirazione arrivi da Lovecraft, ma non bisogna mai dimenticare che prima degli anni Settanta l’autore era totalmente ignoto, quindi le ipotesi sono due: la recente riscoperta di HPL (con i suoi romanzi che dopo decenni di disinteresse riempiono le librerie) ha “contagiato” Giger che di lì a pochissimo a usato il termine “Necronomicon” oppure b) le ispirazioni sono tutt’altre e Giger non sapeva manco chi fosse HPL, visto che il Necronomicon poteva trovarlo citato da altri autori.
        Magari arriverò alla risposta, ho da parte molte interviste a Giger ancora da tradurre 😉

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