Alien 3 (1992-2022) – 1. Passato presente


Il maestro Walter Hill a colazione si mangia giornalisti spalmandoci sopra dirigenti di grandi major: le interviste che qualche fortunato giornalista è riuscito a fargli si contano sulle dita di una mano monca, quindi possiamo imputare solo all’essersi ammorbidito con l’età il fatto che il 62enne Hill si sia raccontato in modo così ampio al critico cinematografico Patrick McGilligan per la rivista “Film International” n. 12 (giugno 2004), che ho tradotto qui.

Arrivati inevitabilmente all’argomento che Hill più odia, cioè l’universo alieno, di cui colleziona mal di pancia, prurito di mani e cause legali, riguardo ad Alien 3 il maestro spara un giudizio lapidario: «another complete fucking mess». In quattro parole ha descritto gli anni impiegati a creare il più fottuto disastro della Fox.


Prologo

Erano i primi giorni dell’agosto 1992 ed ero in auto con i miei genitori, alla volta di Ostia: consueta meta estiva della nostra famiglia. La strada che facevamo aveva la particolarità di entrare in Ostia passando proprio davanti al cinema Krystall che, scoprii in quel periodo, presentava anteprime estive anche mesi prima dell’uscita ufficiale nazionale.

In quei primi giorni di agosto 1992 questo minuscolo cinema di una città balneare, dove ci ho visto un solo film (Il nome della Rosa, nel 1987), presentò in rapida sequenza l’anteprima estiva di Double Impact con Van Damme, in uscita a fine mese, ma soprattutto Alien 3, che sarebbe uscito solo due mesi dopo.

All’epoca sarebbe stato troppo problematico a livello logistico vedermi quell’anteprima, sarei andato quindi in sala nell’ottobre successivo insieme ad alcuni compagni di scuola – per mesi il poster del film campeggiò proprio davanti al mio liceo – ma a questo punto sfrutto quell’anteprima per festeggiare i trent’anni del «fottuto disastro», come l’ha definito Hill.


Introduzione
Giorni di un passato presente

La realtà nasce sempre dalla finzione.

Nel 2020 nasce il nuovo universo alieno, con la pubblicazione del gioco da tavola Alien: the RPG: per la casa Free League Publishing Andrew E.C. Gaska si mette seduto e tira fuori un manuale di 400 pagine che – esattamente com’è successo nel 1987 per Star Wars – si prefigge di raccogliere tutte le narrative sparse, informazioni orfane e leggende metropolitane per stabilire, una volta per tutte, le regole narrative dell’universo del marchio Alien.

Per ora l’operazione ha avuto successo, perché esattamente com’era accaduto per il gioco di ruolo di Star Wars, che spinse la Lucasarts a smettere di sparare a casaccio e dare ordine al proprio universo narrativo, altre case si sono unite e hanno accettato quelle “regole”, invece di andare ognuna per conto proprio.

La Titan Books per i romanzi accetta supinamente quel manuale e infatti sforna robaccia che funziona solo se letta da un game master durante una partita di Alien: the RPG; la Marvel per i fumetti accetta il giusto, nel senso che cerca una strada per non scontentare nessuno: di sicuro le due case forniscono ai propri scrittori – che non sanno niente di niente – le informazioni stabilite da quel manuale. (Non sembra partecipare la Cold Iron Studios con il suo videogioco Aliens: Fireteam Elite, ma in realtà la narrativa di questo gioco è talmente ridotta all’osso, per non dire inesistente, che la sua eventuale “alterità” non guasta.)

Cover di Johnnie Christmas

In cosa si distingue questo nuovo universo alieno dagli altri che lo hanno preceduto? Dal fatto che il geniale autore Gaska ha deciso che bisognava prendere il film più sbagliato della saga ed eleggerlo a pietra miliare, solo perché tutti quelli che se ne erano sempre fregati di William Gibson un giorno hanno scoperto che lui ha scritto una sceneggiatura per il terzo film. Ma va’? È solo dal 1989 che TUTTI sanno della sceneggiatura di Gibson, ma nel 2018 questa “informazione inedita” esplode: quella ridicola stupidata viene prima trasformata in fumetto (2018), poi in romanzo (2021) e intanto è diventata la base su cui poggia il nuovo universo alieno, che ovviamente è pazzo ma non stupido: Alien e Aliens rimangono i film basilari anche perché sono gli unici noti a tutti, anche a chi millanta di essere “fan sfegatato”.

Quindi tutta l’iconografia e la storia dei primi due film rimane intatta, dal quarto film in poi si cancella tutto, facciamo finta che abbiamo scherzato, mentre l’universo geopolitico si basa sulle stupidate di Gibson che nel 1989 facevano schifo a chiunque le leggesse, oggi sono Verità rivelata.
Come si può nel 2020 “innovare” un universo narrativo inserendo vecchiume nato in un contesto socio-politico distante decenni? Infatti il nuovo universo alieno segue la sceneggiatura di Gibson e quindi porta nello spazio la Guerra fredda che c’era sulla Terra.

Nel 2020 quindi abbiamo i russi spaziali che minacciano gli americani spaziali con lo spauracchio dell’arma totale (cioè lo xenomorfo): cosa c’è di più vecchio di questo? Come si può proporre una roba così da Guerra fredda nel 2020?

Il 24 febbraio 2022 ci siamo svegliati nell’universo di William Gibson. Con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia torniamo nel momento esatto in cui il romanziere ha scritto la sceneggiatura di Alien 3, che ora non è più vecchiume: è scottante attualità.

La realtà nasce sempre dalla finzione.


Danko nello spazio

Walter Hill non ha mai nascosto di non apprezzare la fantascienza, diciamo che la detesta, ma essendo un bravo autore (e uno con l’occhio lungo per ciò che funziona su schermo), sa capire quando la fantascienza è solo una scusa per parlare d’altro.

Walter Hill (Photo by Nicolas Auproux – da Slant Magazine)

Dopo il massacro che è stato Alien, dove ha avuto Dan O’Bannon attaccato ai testicoli per tutto il tempo, dove fra cause legali e minacce di botte ha deciso che quel tipo di rapporti umani non facevano per lui, Walter Hill ha sempre avuto un rapporto complicato con il marchio Alien: è suo e dei suoi colleghi della Brandywine Productions, quindi chiunque voglia dirigere un nuovo film deve andare a bussare alla sua porta, ma l’entusiasmo è decisamente calato. E se provassimo a usare lo sfondo della saga aliena per parlare di qualcosa che invece ad Hill piace parecchio?

Nel 1983 lui e l’eterno socio David Giler scrivono il soggetto di un secondo Alien pieno di “soldati della palude silenziosa” dispersi in ambiente ostile – impossibile non gustarsi echi del suo film del 1981 – che poi passa a quel giovane promettente, un certo James Cameron, perché trasformi tutto in sceneggiatura e prenda in mano l’intero progetto. L’estate del 1987 Hill la passa a dirigere quello che i giornali dell’epoca chiamano Dimitri, che poi nel giugno 1988 uscirà nei cinema americani come Red Heat. (In Italia: Danko.) Non sarà un successo di botteghino di quelli che ti confermano la carriera ad alti livelli, sicuramente il film piacerà molto di più agli italiani che agli americani, ma è chiaro quale sia la passione di Hill di quel momento: la Guerra fredda e la sua immortale narrativa.

Quel luglio 1986 Aliens aveva stracciato ogni botteghino americano, la 20th Century Fox faceva la doccia coi soldi e subito ne prendeva una parte per riversarla nelle ampie tasche di Sigourney Weaver, che odiava talmente tanto quel film da rifiutarsi di tornare in un eventuale seguito. La Fox non ha problemi, gli attori si convincono in un attimo a suon di dollaroni, quindi la telefonata successiva è a Walter Hill: bisogna assolutamente tirar fuori un terzo Alien, si inventasse qualcosa.

Visto che fra il 1987 e il 1988 Hill passa il tempo immerso nella Guerra fredda, con gli americani fuck yeah e i russoski, è facile che già mentre girava Danko sia nata l’idea di portare nel futuro dell’universo alieno l’Equilibrio del terrore che dominava quegli anni: due superpotenze capaci di distruggere il mondo… che ad un tratto mettono le mani sull’arma più potente dell’universo. Come resistere?

Photo by Alex Waterhouse Hayward (© 1988 Bantam Books)

Scritta una sinossi, un soggetto grezzo, serve qualcuno che lo trasformi in sceneggiatura e leggenda vuole che in vacanza in Thailandia Hill abbia letto Neuromante (1984) di William Gibson, capendo che quel giovane nuovo talento poteva essere la persona giusta per un terzo film alieno. In realtà il giornalista Sheldon Teitelbaum, che all’epoca seguì da vicino la lavorazione di Alien 3, su “Cinefantastique” del giugno 1992 afferma che la “leggenda” appartiene a David Giler: è lui che in vacanza ha letto quel romanzo e ne ha subito parlato col socio Hill. In ogni caso, il discorso non cambia.

Nel 1987 – la data la riporta il citato Teitelbaum, quindi siamo in piena lavorazione di Danko (1988) – Walter Hill e David Giler incontrano Gibson. «Discutevano sul significato della metafora costituita dall’alieno», racconta Gibson a Teitelbaum, «mi sarei aspettato questo tipo di discussioni sul sottotesto da accademici, non da produttori». Hill (per cui l’alieno simboleggia il cancro) e Giler (per cui è invece l’HIV) consegnano al romanziere un soggetto di dodici pagine (secondo il citato “Cinefantastique” del 1992) oppure di quindici (secondo “Starlog” del 1989) da trasformare in sceneggiatura.

Siamo in un momento d’oro per Gibson, l’esperimento narrativo – aspetta che lo ridico, narrativo – che tutti chiamano cyberpunk sta facendo impazzire gli editori di tutto il mondo. «Questo editore di fantascienza francese che ho incontrato in Quebec è venuto da me e mi ha detto “Ah, sì, Cyberpunk! Non esiste eppure ci sono imitazioni!” Aveva ragione, sai?» (Dalla citata intervista del 1989.) Gibson è il primo a non prendere molto sul serio il genere e gli altri “padri” maligneranno che quando è nato il movimento letterario Gibson manco era presente, ma comunque siamo nel pieno di una moda letteraria così vasta che dal decennio successivo – quando sarà totalmente dimenticata, al di fuori dei soliti tre titoli – entrerà nel linguaggio spurio dei critici cinematografici (o supposti tali), sbagliando totalmente ogni senso del movimento letterario.

A Teitelbaum il romanziere racconta che il suo primo impulso è stato scrivere una storia ambientata in un futuro alla Blade Runner (e come te sbagli?), ma poi una volta capito che il budget del film non permetteva certi lussi, ha abbassato le pretese.

«Ho lavorato con l’idea di una serie di stazioni spaziali semi-abbandonate. Quella che preferisco è una stazione che assomiglia più ad un centro commerciale in costruzione, qualcosa che ricordi il romanzo Mallworld (1981) di S.P. Somtow, ma incompleto. Ho trovato sempre spaventosi i centri commerciali incompleti.

La parte più divertente è stata creare questo futuro terzo mondo socialista che sembra in opposizione a quello della Compagnia, ma in realtà è parimenti corrotto. È come se l’equipaggio dell’Enterprise salisse a bordo di un’astronave piena di stalinisti.»

In quel giugno 1988 in cui esce Danko nei cinema, in libreria esce Mona Lisa Cyberpunk per Bantam, e nell’agosto successivo viene depositato il copyright per la sceneggiatura cinematografica di Neuromante firmata Deborah I. Rosenberg, per la Cabana Boy Productions, che nel 1990 verrà rimaneggiata da Scott Roberts: non arriverà mai a nascere, ma è chiaro che Gibson aspiri legittimamente al cinema, in un periodo in cui ha conquistato le librerie.
Nell’agosto 1989 la Byron Preiss presenta il fumetto di Neuromante scritto da Tom DeHaven, coi disegni di Bruce Jensen, quindi è chiaro che Hill e Giler abbiano avuto l’occhio giusto scegliendo un talento in ascesa come Gibson come sceneggiatore di Alien 3.

«Avevo sempre avuto il desiderio di scrivere sceneggiature per Hollywood, ma Alien 3 è una cosa completamente diversa: è come se ti offrissero le chiavi di una enorme Jaguar, un’auto davvero veloce.»

Queste parole di Gibson escono sulla rivista “Starlog” nell’agosto 1989: tre mesi dopo cade il Muro di Berlino. La sceneggiatura è già roba vecchia, sebbene il romanziere sia incolpevole: è il mondo socio-politico di Walter Hill che sta crollando.

Sul numero 1 (autunno 1992) della rivista “Monstroid” il curatore (nonché fan alieno) John Hill afferma di aver letto la sceneggiatura di Gibson all’incirca nell’inverno 1988 e che all’inizio del 1989 fosse già stata rigettata dalla Fox. Nessuno ha mai dichiarato apertamente il motivo del rigetto (Gibson a “Cinefantastique” riassume il suo copione con «Comunisti spaziali rapiscono un uovo alieno: grosso guaio a Mallworld») quindi siamo autorizzati ad ipotizzare non sia per niente piaciuto il “comunismo spaziale”, soprattutto in un momento in cui il blocco sovietico stava crollando.

Il 26 dicembre 1991, mentre stanno ancora girando il film, muore ufficialmente l’Unione Sovietica: i comunisti spaziali di Hill/Gibson non hanno più senso, e infatti la sceneggiatura rimane carta straccia per i successivi decenni, citata ma ignorata: reperibile liberamente in Rete, nel 2003 un pazzo etrusco l’ha persino tradotta completamente in italiano!

Cover di Johnnie Christmas

Quello che nessuno poteva immaginare è che per far tornare la realtà a combaciare con la finzione la Nato ha iniziato a fare quello che si era impegnata a non fare, e che era logico non facesse, cioè annettere sempre più Stati fino a far sentire la Russia in pericolo, quand’è noto che la Russia al pericolo risponde solo con la violenza. La Nato ci ha impiegato trent’anni, ma alla fine è riuscita a ricreare l’Equilibrio del Terrore, la corsa agli armamenti e la Guerra fredda che tanto materiale aveva dato agli sceneggiatori del Novecento. Ora l’Alien 3 di Gibson è una drammatica rappresentazione della contemporaneità. E il romanziere lo sapeva: mica è neuromante per caso…

Chissà se è stato per consolarsi dell’esser stato “trombato” dal progetto Alien 3 che Gibson nel 1990 partecipa all’antologia “Alien Sex”.

(continua)

L.

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