ALIENS versus BOYKA 3: Dead Or Alive (fan fiction) 6

Sesta puntata della nuova fan fiction per omaggiare l’uscita del terzo prodotto Millennium Films con protagonista il lottatore interpretato da Scott Adkins.
Per evitare di “bruciare” i colpi di scena, l’elenco di tutte le fonti che cito lo stilerò solo alla fine della storia.

ALIENS versus BOYKA 3:
Dead Or Alive

6

«Fatemi capire: questa Eve è un robot?»

Le manovre di attracco erano lunghe e noiose, e i Colonial Marines dovevano aspettare a lungo, seduti ai loro posti, con le cinture ben strette e quindi impossibilitati a fare baldoria come loro solito. Così per Dunja era stato semplice attaccare bottone con il soldato vicino a lei, chiedendo maggiori informazioni su questa Eve che avrebbe dovuto sicuramente incontrare da un momento all’altro.

«Non credo sia un robot», rispose svogliato il marine senza guardare la donna. Era chiaro che non aveva piacere a parlare con lei, ma era immobilizzato e quindi in qualche modo doveva pur passare il tempo. «So solo che non la puoi ammazzare, e se ci provi quella risorge e ti fa il culo a strisce. Per questo li chiamano Lazarus.»

«Può darsi che sia una cyborg?» tornò alla carica Dunja. «Cioè una donna umana però potenziata in modo da essere invincibile?»

Il soldato di fronte a Dunja sbottò in una risata sguagliata, e si rivolse ai suoi commilitoni. «Ve la ricordate su LV-438 quella battona potenziata?» Ne nacque un coro di grida e risate. «Quella sì che sapeva come sfruttare la migliore tecnologia cibernetica.»

«Quindi nessun Lazarus è mai morto?» continuò Dunja senza darsi per vinta. «Questo vuol dire che sono sempre gli stessi da… be’, da sempre!»

Il soldato accanto a lei scosse le spalle, infastidito. «Una volta un tizio mi ha raccontato di averne ucciso uno, ma era ubriaco perso…»

«E come l’avrebbe ucciso?»

«Col fiato!» gridò un soldato, e tutti risero rumorosamente.

«Se faccio un’ultima domanda, promettendo poi di cucirmi la bocca, mi rispondete onestamente?» chiese Dunja a tutti, guardando il gruppo di soldati. Alcuni la fissarono incuriositi, altri annuirono sorridendo. «State evitando di rispondere seriamente alle mie domande perché vi è stato ordinato di comportarvi così… o semplicemente perché siete dei cazzoni?»

Il silenzio cadde improvviso e ogni sorriso scomparve dalla facce dei soldati. Dunja appoggiò la testa alla parete a cui era fissato il suo sedile e chiuse gli occhi: aveva avuto la più eloquente delle risposte. Era stata a contatto con abbastanza militari nella sua vita per sapere che ad un’offesa del genere si rispondeva in modo acceso: nessun soldato avrebbe consentito a qualcuno, per lo più estraneo, di chiamarlo “cazzone”. Potevano offendersi, potevano prenderla in scherzo o reagire in vari altri modi… invece rimase solo un pesante silenzio, ad indicare che quelle risate erano solo un modo per distrarre l’attenzione.

Nessuno poteva rispondere alla domanda, visto che entrambe le ipotesi erano squalificanti. Era chiaro che a quei soldati era stato imposto di non parlare con la straniera, tanto che Dunja si convinse decisamente che non stava tornando a casa. Si stava andando ad infilare nella tana del leone.

~

«Perché la tua amica non ci ha degnato di uno sguardo da quando siamo saliti a bordo?»

Boyka ed Eloise sedevano affiancati, lontani dagli altri. I sedili erano tanti e nessuno aveva loro imposto una particolare disposizione, così era stato il lottatore stesso a scegliere i posti più lontani, senza che qualcuno glielo impedisse. Né Dunja aveva fatto loro alcun cenno di volerli vicini: semplicemente li aveva ignorati per tutto il viaggio.

«Dunja ha detto addio alla sua vita e ora, dopo tanti anni, vi sta tornando: bisogna capire che sta provando forti emozioni. È un ritorno a casa che ha il forte sapore del fallimento… Non è facile quello che sta facendo.»

«Fare finta che non ci conosce l’aiuta in questo?»

Boyka teneva gli occhi chiusi e si limitò a scuotere leggermente la testa, in segno di diniego. «Non saprei dirtelo, ma sono sicuro che c’è un motivo: inutile chiederselo, quando sarà il momento lo sapremo.»

Il silenzio che seguì fece capire all’uomo che Eloise non era rimasta convinta da questa risposta, che tante altre domande le affollavano la mente malgrado lei cercasse di frenarle. Così Boyka aprì gli occhi e si girò verso di lei, guardandola con un sorriso amaro, quasi dispiaciuto.

«Noi siamo armi, Eloise. Rimaniamo nel cassetto finché non arriva il momento di usarci.» Scosse le spalle. «Non so se tu avevi altri progetti, ma è questa la nostra realtà: quando non serviamo, è come se non esistessimo.»

La ginoide lo fissò negli occhi. «Io non so niente di tutto questo, a me va bene tutto, ma quello che mi chiedo è… a te va bene?»

Boyka tornò a chiudere gli occhi ed ad appoggiare la testa alla parete. «Non sono abituato a farmi queste domande. Ciò che io voglio non ha mai contato nulla, nella mia vita, tanto che non saprei neanche dirti ciò che voglio.»

Eloise rimase in silenzio, guardando gli altri umani. Non li capiva, e più cercava di farlo e meno ci riusciva. Gli xenomorfi erano più semplici, comprensibili. Quando aveva affrontato la Regina tutto era chiaro: ogni impulso che l’essere le mandava al cervello era perfettamente comprensibile. Invece ogni segnale emanato dagli umani era di difficile interpretazione.

Forse aveva sbagliato la razza con cui allearsi…

~

Quando l’astronave atterrò, in un sol lampo tutti i soldati si tolsero le cinture così da sentirsi di nuovo liberi. Nessuno rivolse più un solo sguardo a Dunja.

Bentornata a casa, si disse la donna fra sé, con una punta di amarezza.

Le procedure di sbarco furono più veloci e d’un tratto Dunja si ritrovò trascinata fuori: la freschezza dell’aria della sera la colpì sul viso. L’hangar era di una grandezza immane, rispetto alla loro nave che in fondo era una semplice scialuppa. Alcuni veicoli si avvicinarono rapidamente, mentre Dunja veniva trascinata giù per le scale: non era chiaro se i soldati la stessero guidando energicamente o se la stessero trascinando come una prigioniera. Forse non c’era tutta quella differenza.

In un attimo si ritrovò a terra mentre una grande automobile arrivava e si fermava davanti a lei. Con altrettanta velocità le portiere si aprirono e ne scese una donna sorridente. «Il maggiore Dunja, presumo», disse.

Dunja era frastornata e si limitò ad annuire leggermente, guardandosi in giro.

«Mi aspettavo un saluto militare, da un maggiore, ma non fa niente», disse ridendo la donna. «Bentornata a casa», ed allungò una mano. «Io sono Eve, Lazarus della Yutani.»

Il sorriso della donna si infrangeva di fronte allo sguardo allibito di Dunja, che lentamente prese la mano proprio mentre pensava che c’era il rischio di ritrovarsela fratturata, se quello che aveva davanti era davvero un robot.

La stretta di mano durò più del dovuto, finché Dunja non fece mente locale e capì cosa fosse quel movimento che vedeva in lontananza: c’erano dei fotografi che stavano immortalando quel momento. Evidentemente non avevano il permesso di avvicinarsi troppo ma quella stretta di mano si stava svolgendo proprio a favore di macchina fotografica.

Dunja continuava a fissare allibita il sorriso falso di Eve, che evidentemente sapeva posare a favore di camera, e si irrigidì quando la donna d’un tratto sfilò la mano e la abbracciò. Probabilmente sui quotidiani del giorno dopo avrebbe fatto effetto l’immagine della responsabile della sicurezza Yutani che abbracciava la figliola prodiga, tornata nella Casata.

Quando finalmente si staccò, Eve strinse sorridente le spalle di Dunja per altri eterni istanti, prima di indicarle l’auto. «Vieni con me o vuoi viaggiare insieme ai tuoi amici?»

Dunja fissò negli occhi la donna e finalmente parlò. «Io non ho amici, non più. Sono tutti morti per colpa mia. Quelli sono semplici compagni di viaggio.»

Eve non chiese altro, limitandosi a far salire Dunja sulla grande auto con cui era arrivata. Lei stessa salì al posto di guida e partì velocemente.

«Compagni di viaggio?» chiese Eloise mentre metteva piede a terra insieme a Boyka. «Ma tu e lei non…»

«Te l’ho già detto», la interruppe Boyka. «Quando un’arma non serve se ne rimane chiusa in un cassetto.»

Un soldato si avvicinò ai due. «Seguiteci. Stanotte dormirete in caserma poi domani qualcuno verrà a prendervi.»

I due annuirono, ma mentre seguivano il soldato che li aveva chiamati la ginoide si avvicinò a Boyka e, bisbigliando, chiese: «a proposito… che cos’è un cassetto?»

~

«È un piacere incontrarti.»

Mentre l’auto sfrecciava, Dunja si era ritrovata a stringere non sapeva più quante mani. L’interno dell’auto era molto ampio ma non immaginava potesse contenere così tante persone. Così tante donne.

Tutti sapevano che la Yutani era una Casata storicamente matriarcale, ma Dunja ricordava che ai suoi tempi la proporzione fra uomini e donne era pari: ora era circondata esclusivamente da signore di ogni età, come se le uniche di rango abbastanza elevato da fare da rappresentanza fossero solo donne.

«Scusate se sembro confusa», continuava a ripetere il maggiore, «è che in effetti sono confusa.»

Tutte risero. «Ma certo, ci mancherebbe. Se io stessi lontano così tanti anni dalla Casata andrei fuori di testa.» Altre risate.

«Ti verrà ripetuto più volte, stasera», prese la parola la più anziana delle donne, «ma permettimi di essere la prima a congratularmi con te. Sappiamo tutto di quello che hai fatto, sappiamo a quanto hai rinunciato pur di sventare una terribile minaccia alla Casata. E per questo ti prego di credere che te ne saremo eternamente grati.»

Grati di cosa? Cosa sapevano? Che cosa era stato raccontato loro? Se ai soldati era stato ordinato di non rispondere alle sue domande, quanto si poteva credere alla libera circolazione di informazioni nella Casata? Cosa era stato detto esattamente a queste donne? Dunja non lo sapeva e, per non rischiare, si limitava ad annuire con la testa.

«Lasciatela respirare», sentì dire alle sue spalle. «Ha appena compiuto un lungo viaggio spaziale, non statele addosso.»

Il tono era divertito, era una frase amichevole, ma quando Dunja capì che a pronunciarla era stata Eve, mentre guidava, il tono non le sembrò più così amichevole. Era un modo per incitare le altre a non fare domande?

Dunja si limitava ad assumere un’espressione confusa – sensazione che in effetti provava – ma continuava a chiedersi cosa fosse rimasto della Casata in cui era nata e cresciuta. Una Casata in cui non esistevano Lazarus…

~

La serata era stata un turbine di saluti e strette di mano, mentre Dunja era sballottata da un ambiente ad un altro. Era entrata in una casa, poi in un’altra e un’altra ancora senza sosta, trascinata da Eve e da altre donne. Tanti le si erano presentati sorridenti e l’avevano ringraziata per la grande minaccia sventata, e a tutte Dunja si limitava a sorridere annuendo, in attesa di capire di cosa esattamente la stessero ringraziando.

Appena qualcuno dava segnale di voler parlare più di qualche secondo, Eve o chi per lei subito trascinava via Dunja adducendo sempre la stessa scusa: la madre stava aspettando di poterla abbracciare. In fondo era naturale, dopo vent’anni di assenza quale madre non sarebbe stata ansiosa di poter riabbracciare la propria figlia? Questo però per Dunja indicava un altro chiaro segnale di pericolo… visto che sua madre era morta quando lei era bambina.

Spintone dopo spintone, dopo un tempo incalcolabile Dunja si ritrovò in un’ampia stanza dove finalmente il vociare e il chiacchiericcio erano assenti. Finalmente un attimo di riposo. Forse.

«Serata piena, eh?» le disse con fare complice Eve, strizzandole l’occhio. Tutto faceva pensare ad un comportamento amichevole, ma lo stesso c’era qualcosa che non andava: era proprio come se un nemico stesse fingendosi amico.

Un gruppetto di donne si avvicinò, e da come quella al centro camminava e da come le altre seguivano ossequiose, Dunja immaginò fosse un pezzo grosso della Casata.

La donna dal fiero aspetto si fermò a pochi passi da Dunja e la fissò a lungo, prima di parlare. «Hai fatto un lavoro eccezionale. Come sempre.»

Il maggiore stava per rispondere che non capiva il significato di quella frase, quando si rese conto che non erano parole rivolte a lei.

«Grazie, Signora», intervenne Eve con malcelato orgoglio, accennando anche un inchino. «Ma sono stata solo fortunata.»

La donna sbuffò. «Non sminuirti. Hai dato in pasto all’opinione pubblica un’eroina, una paladina della Yutani.» I suoi occhi studiavano Dunja come si fa con un animale mai visto prima. «Quando quei cani della Weyland la uccideranno ci sarà un’indignazione popolare: non avresti potuto avere un’idea migliore, Eve.»

Dunja non si stupì affatto, sapeva che non era fra amici e ormai non valeva neanche più la pena chiedere spiegazioni. Si limitò a guardare la vecchia altolocata che la fissava, mentre quella Eve – quella Lazarus – continuava ad inchinarsi ossequiosa.

«Quel robot costruito dal dottor Lichtner? L’hai prelevato?» chiese la donna.

«Certo, Signora. È stato gravemente danneggiato ma il suo software dovrebbe essere intatto. Ho già fatto in modo che venisse consegnato al reparto tecnico.»

«Bene. E le armi del dottore?»

«Prelevate e già dirette alla nostra Sezione Armi.»

«Ottimo. Ah, non c’erano due ospiti? Un uomo e una donna?»

«Sì, signora. Sulla donna non abbiamo informazioni ma l’uomo risultava essere l’amante del maggiore. Da quando però li abbiamo prelevati i due non si sono neanche guardati e Dunja non ha voluto l’uomo al suo fianco. Temo siamo state male informate.»

La donna alzò una mano. «Meglio. Sarebbe stato un peccato sacrificare quell’uomo. Mi sembra in forma, magari può tornarci utile per il circuito dei combattimenti.»

«Certo, Signora. E della donna che ne facciamo?»

«Cerca di capire se può esserci utile in qualche modo, altrimenti sbarazzatene.»

Eve si esibì in un altro dei suoi piccoli inchini ossequiosi.

«Mi stupisce che non provi vergogna ad indossare una divisa militare», disse la vecchia, per la prima volta rivolgendosi a Dunja. «Ho visto il filmato dei tuoi esami, dove facevi i capricci e battevi i piedi come una ragazzina viziata: hai ricoperto di disonore e vergogna la Casata.» Gli occhi della vecchia scandagliavano quelli di Dunja, la quale non mosse un muscolo né disse una sola parola. Si limitava a fissare la donna senza la minima espressione.

«La memoria della gente è breve», disse alla fine la donna, di nuovo rivolta ad Eve. «Ora che questa pecorella smarrita è tornata all’ovile e tutti la vogliono incontrare… è il momento giusto per mandarla al macello. Fallo stanotte.»

La vecchia sorrise arcigna e poi si voltò, andandosene con il suo crocicchio di cortigiane al seguito.

Dunja si sentì spingere e non fece alcuna opposizione, iniziando a camminare verso la direzione in cui era forzata.

~

«Posso esprimere un ultimo desiderio?» chiese Dunja mentre camminava per una lunga navata.

Eve le camminava a fianco e non la guardava. «Puoi, ma non è detto che io possa esaudirlo.»

«Tranquilla, è facile: vorrei solo sapere perché mi state uccidendo.»

«Noi non ti stiamo uccidendo», rispose pacata la Lazarus. «Ti abbiamo semplicemente scelto per una delle sezioni del DOA: quella in cui un combattente particolarmente meritevole della Yutani deve affrontarne uno della Weyland. Nessuno sa delle tue scarse qualità militari, né che sei una piagnucolona, quindi ufficialmente sei un’eroina per ogni donna e uomo della Casata.»

«Se mi giudicate così male, perché mandate me invece di un vero “eroe”?»

«Perché dobbiamo dare una lezione agli Yautja. La loro razza è stata nostra alleata da tempo immemore quando d’un tratto ci ha traditi e si è schierata con la Weyland: quei Predator si sono dimostrati alquanto infidi, malgrado il loro sacro codice d’onore. Dunque la Weyland in questa sezione del DOA metterà in campo uno Young Blood, un giovane Predator desideroso di farsi un nome e di avere un trofeo di alto livello: la testa di un eroe Yutani. Ecco perché la Signora ha deciso di mandare te: sarà facile farti fuori e questo farà indignare l’opinione pubblica. Gli Yautja e la Weyland saranno ricoperti di vergogna e quindi ogni decisione politicamente forte della Yutani verrà accettata dalla gente.»

«Tutto qua?» sbottò Dunja voltandosi a fissare Eve. «Un semplice giochetto politico? Speravo di morire per un ideale molto più elevato.»

Eve sorrise. «Sono contenta che la prendi in scherzo. Si vede che comunque hai sangue Yutani nelle vene.»

«Almeno io ho qualcosa, nelle vene. Tu ce le hai le vene? Perdonami, ma sono stata lontano in questi anni e non so come sono fatte le Lazarus: hai degli ingranaggi che ti ronzano nel petto?»

Giunti ad un grande portone Eve aprì le ante, mostrando due marine che erano in attesa. La Lazarus spinse violentemente la donna in avanti, facendola cadere fra le braccia dei due marine, che la trascinarono via senza che lei dicesse una sola parola. «Sei simpatica, Dunja: perderti farà piangere i miei ingranaggi.»

(continua)

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