[2012-06] Colonial Marines su “PlayStation” 118

Riporto il testo della rivista italiana specialistica “PlayStation Magazine Ufficiale” n. 118 (giugno 2012), che dedica un corposo speciale all’anteprima del videogioco Aliens: Colonial Marines.

Molto interessante come l’autore si spertichi in lodi per un gioco che di lì a poco sarebbe stato massacrato, e l’entusiasmo per quello che viene definito (giustamente) «il seguito ufficiale di Aliens» crolla di fronte ad obiezioni che sicuramente avranno senso per i videogiocatori, molto di meno per uno spettatore esterno come me. Ho sentito videogiocatori professionisti criticare il fatto che un’astronave esploda con un boato, quando è noto che nello spazio il suono non si propaga. Per fortuna questi geni dell’astrofisica non vanno mai al cinema, altrimenti non dovrebbe esistere uno solo dei grandi film di fantascienza.

Per me, che non gioco bensì adoro la narrativa aliena, Colonial Marines è un capolavoro perché continua il discorso di Aliens (anche se non certo con la qualità della Trilogia di Verheiden) e si unisce alla perfezione con Alien 3, oltre a raccontare più storie appassionanti. Purtroppo il difetto del gioco è legarsi alla perfezione ai film, mentre i videogiocatori se ne fregano del cinema (malgrado dicano sempre il contrario) e spesso non capiscono neanche le citazioni. Un’opera citazionistica funziona solo se si è in grado di coglierle, quelle citazioni.

Leggere in questo articolo che il decano Syd Mead ha usato per il videogioco idee che negli anni Ottanta non ha potuto usare, ampliando quindi in modo magistrale l’universo alieno, mi fa odiare ancora di più i critici che hanno distrutto questo gioco, decretando la morte di una storia migliore di tutti i film alieni del nuovo millennio messi assieme.

Da notare infine che la rivista è uscita in Italia mesi prima dell’arrivo da noi di Prometheus (2012), quindi il giornalista senza nome lo cita ancora pregustando il mistero dei “segreti” che custodisce.


Gocce di morte

(senza firma)

da “PlayStation Magazine Ufficiale”
n. 118 (giugno 2012)

Game Over, amico? Niente affatto.
La nostra prima prova di “Aliens: Colonial Marines”
dimostra che questo è solo l’inizio

Per i fan della famosa saga fantascientifica, Aliens: Colonial Mannes è in parti uguali una proposta sia emozionante che inquietante. Dopo gli ultimi videogiochi sviluppati da Rebellion e Monolith (entrambi non proprio convincenti), e considerando il lungo tempo di sviluppo di quest’ultimo sparatutto a tema Alien, si potrebbe facilmente commettere l’errore di sottovalutarne il potenziale. Passate però un po’ di tempo con gli sviluppatori responsabili di Colonial Marines e due cose diverranno subito chiare. Primo, questo è un team di drogati cronici di Aliens. Secondo, sono seriamente intenzionati a renderlo il miglior gioco di Aliens di tutti i tempi.

Ciò che lo distingue da tutti i precedenti tentativi (a partire dall’antico sparatutto uscito sull’Atari Jaguar), è che questo è un vero e proprio sequel del film Aliens: Scontro finale di James Cameron del 1986. Il fatto che 20th Century Fox approvi il lavoro di Gearbox e, secondo il direttore di studio Randy Pitchford, «lo considera quasi un seguito cinematografico» la dice lunga sui risultati raggiunti, e su come l’industria dei videogiochi in generale stia diventando sempre più importante.

La missione di proporsi come un seguito ufficiale di un film cult e la costante necessità di confrontarsi continuamente con le grandi case di produzione che hanno dato vita alla serie, sta generando una pressione incredibile sul team Gearbox. La vera domanda è: dopo un periodo di sviluppo lungo in modo quasi sospetto, le meccaniche di base di Colonial Mannes saranno in grado di soddisfare le aspettative? Arrivati all’esclusiva sala prove in cui ci attende la demo, ci rendiamo conto che saremo le prime persone a scoprirlo.

Il livello iniziale è ambientato subito dopo la scena finale di Aliens: Scontro finale e i marine spaziali sono impegnati in una missione di salvataggio. Sappiamo che sulla Sulaco è successo qualcosa di brutto, ma non sappiamo quanto. Lasciando la sicurezza della navetta, attraversiamo un enorme ponte di vetro verso il vascello infestato da alieni. Inizia l’impresa. Dato che non ci sono xenomorfi nelle vicinanze e non ci saltano immediatamente addosso, ci prendiamo un attimo per capire la qualità galattica del sonoro e gli impressionanti effetti di luci e ombre intorno a noi. Nei primi stadi di sviluppo, Gearbox ha speso molto tempo a creare un motore grafico dedicato, che mostra un impressionante sistema composito d’illuminazione in tempo reale.


La rinascita di Aliens

Entrando in una stanza semibuia si è rapiti del modo realistico in cui si propagano i bagliori delle lampadine di servizio, capaci di creare un’atmosfera davvero suggestiva. Di sicuro un motore simile ha necessità di molta potenza di calcolo, ma Gearbox è riuscita a farlo funzionare anche su PS3, dimostrando che la nostra console, malgrado sia un po’ anzianotta, ha ancora qualche asso nella manica da sfruttare appieno. «E per implementare tutte queste ombre profonde e realistiche, quale gioco poteva funzionare meglio di uno ambientato nell’universo di Aliens?», fa notare Pitchford. Siamo assolutamente d’accordo con lui mentre ci facciamo strada all’interno della Sulaco, con il mitico rilevatore di movimento alla mano. Guardate, c’è la metà inferiore di Bishop sul ponte di carico!

La visita ci conduce ai moduli criogenici, alcuni dei quali (come mostra la scena iniziale di Alien 3) sono stati espulsi. È chiaro che la passione del team per i film della serie ci permetterà di vedere dettagli in linea con quanto mostrato nelle pellicole. Nulla sarà fatto a caso, senza quella giusta attenzione a ciò che ci è stato raccontato al cinema.


Fox e la sua importanza

Il coinvolgimento di Fox ha permesso a Gearbox di ottenere una gran quantità di materiale cinematografico originale su cui lavorare, come foto di scena, concept art e audio originali, cose capaci di regalare un’immediata e genuina goduria a ogni fan. Il vice presidente esecutivo Brian Martel e l’art director Brian Cozzens hanno passato parecchio tempo faccia a faccia con il concept artist Sid Mead (che ha progettato sia la nave Sulaco che altri leggendari luoghi), e hanno saputo condividere la sua visione creativa, estesa ben oltre i contenuti del film: «Ho capito che aveva già queste idee dalla fine degli anni ’80, dopo Aliens: Scontro finale, e non ha mai avuto possibilità di sfruttarle», spiega Cozzens. «Quindi non solo è con noi per creare nuovi ambienti, ma ha anche avuto modo di mostrare quelli che aveva concepito all’epoca del film».

Gearbox è stata anche così fortunata da poter parlare con un tipo di nome Ridey Scott. E non c’è miglior punto ci partenza di questo: Scott ha creato l’intero universo della saga, dirigendo Alien nel 1979, oltre a disegnare a mano anche gli storyboard del film. È stato passando del tempo con Scott che Gearbox ha potuto conoscere gli intervalli temporali nella storyline dell’universo in questione, permettendo al team di accumulare un gran numero di interessanti elementi distintivi che caratterizzano l’identità di Colonial Marines.

Il team di sviluppo è comprensibilmente cauto riguardo alla vastità di una simile operazione, ma l’agitazione dei fan raggiunge quasi lo shock anafilattico quando Randy Pitchford spiega cosa Scott ha spiegato loro: «Ridley ha svelato dei segreti. Ha condiviso l’universo come lo ha visto lui, come e perché le cose sono nate, cose nemmeno mai accennate nel film. Chi è lo Space Jockey (la creatura gigante che si intravede in Alien e che sarà alla base del film Prometheus)? Lui ha tutte le risposte. A volte, quando guardiamo i film, identifichiamo quelle che sembrano incongruenze e ogni volta che succede, per noi è un’opportunità. È davvero un errore? I creatori non commettono errori come questi. Dietro queste cose ci sono dei motivi specifici per cui non sono state inserite nel montaggio e in molti casi queste ragioni sono migliori di quanto possiate immaginare».

Pitchford ha anche un’interessante previsione su come il loro lavoro influenzerà i fan: «Per chi ama la serie e giocherà a questo gioco… Alien 3 diverrà un film di gran lunga migliore. Molte cose avranno più senso».


Primo contatto

Ma ora basta rievocare il passato: il presente… anzi, il futuro chiama. Appena perlustriamo il nido alieno fatto di materia organica, troviamo un marine intrappolato nel muro. Mentre facciamo del nostro meglio per liberarlo, si fa vivo il primo xenomorfo del gioco. E a quanto pare è anche una nuova specie. È uno stalker, e la sua intelligenza artificiale gli dice di essere il più furtivo e veloce possibile, muovendosi dal pavimento al soffitto e dietro gli angoli per evitare il fuoco del nostro fucile e provare ad aggirarci, finché non gli facciamo esplodere la testa e il suo sangue acido corrode il pavimento.

In questo fase le disperate comunicazioni tra voi e i vostri compagni marine aggiungono fiumi di adrenalina all’azione e la sensazione di essere immersi nel mondo del film è quasi totale…


A passo felpato

Gli alieni si muovono in modo un po’ strano. È un vecchio problema che ha afflitto tutti gli sviluppatori, in quanto nei film è abbastanza raro, che uno xenomorfo sia del tutto visibile, dalla testa a forma fallica alle dita artigliate. Di conseguenza, non c’è un modo preciso e canonizzato in cui uno xenomorfo corre; vedendone uno, si capisce che lo fa in maniera del tutto scorretta. Appena il loro numero aumenta, non c’è tempo di soffermarsi su certi particolari perché le cose diventano subito ardue e ci abbandoniamo a raffiche di fuoco in preda al panico, accompagnate da battute da duri e dai classici «Controllate gli angoli!».

Tuttavia la frenesia dell’azione non è sempre a livelli massimi. Quando s’interagisce con qualche oggetto, come un monitor, ci si “blocca” e si entra in una specie di sequenza non interattiva, che va decisamente in contrasto con l’urgenza del combattimento e, del resto, con il ritmo serrato delle scene dazione dei film. Comunque, secondo Pitchford il gioco è ancora «in fase alfa», quindi c’è possibilità che questi piccoli difetti possano svanire nella versione finale.

Sebbene il single player sia solo una parte dell’arsenale di Colonial Mannes (potete anche affrontare la campagna in modalità co-op drop-in a quattro giocatori, che sarebbe meglio chiamare “modalità citazioni”), c’è anche un’opzione multiplayer competitiva che mette i marine contro gli xenomorfi. Pronti per qualche controsenso? Numero uno: quando controllate gli xenomorfi, la visuale è in terza persona. Numero due: premi e potenziamenti che ottenete nel multiplayer hanno effetto sulla campagna single player.

Il design lead John Mulkey spiega: «C’è una serie di sfide in multiplayer che vi permette di sbloccare elementi unici. Quindi, mentre affrontate il gioco, quello che vogliamo veramente è che siate in grado di personalizzare al massimo il vostro rude personaggio, in modo che possiate chiamane il vostro fucile per nome, potenziando questo o quello, facendo modifiche all’armatura… ed è una cosa che passa tra single player e multiplayer. Sarete ciò che vorrete essere, questo è piuttosto chiaro».


Nel vivo dell’azione

Con i nostri durissimi uomini, ci sporchiamo le mani in un deathmatch a squadre otto contro otto, sfidando un team di xenomorfi controllati da Gearbox. Una volta riusciamo anche a batterti. Ma non continuiamo a parlare di come abbiamo sconfitto un team di sviluppo al loro stesso gioco. Non perdiamo tempo ad autocompiacerci. Nossignore. Anzi, focalizziamoci su quanto sia dannatamente serrato ogni singolo scontro; l’equilibrio è quello gusto, nella misura in cui ogni partita resta veramente accesa fino all’ultimissimo secondo di gioco. È straordinario vedere le meccaniche che vi porteranno a comportarvi come i personaggi dei film: come marine è fondamentale restare uniti, usando frequentemente il rilevatore e guardandosi le spalle, ma giocando come alieni, avete una mentalità comune. Potete vedere le reciproche posizioni attraverso i muri, rendendo semplice effettuare attacchi a sorpresa, proprio come farebbero gli xenomorfi originali.

È incredibilmente difficile dare un tono teso e cinematografico a ogni esperienza in multiplayer, ma in qualche modo, Colonial Marines ci riesce in peno.


La promessa

Il primo contatto con Aliens: Colonial Marines ha svelato un single player teso e rigorosamente autentico e un multiplayer sorprendentemente coinvolgente e ben strutturato. Per questo (altrettanto importante è la reale ossessione del team con l’universo con cui sta avendo a che fare) è chiaro già da ora che questo titolo ha tutte le carte in regola per diventare il miglior gioco su Aliens mai prodotto. In realtà, la questione è più se un gioco possa mantenere le promesse di un film: la rappresentazione degli alieni in video, la natura del combattimento, i caratteristici scontri a fuoco lungo i corridoi ideati da Cameron pongono grossi problemi concettuali a un seguito ufficiale.

Se c’è un gioco che può prendere questi problemi e trasformarli in un coinvolgente e veloce sparatutto in prima persona, di sicuro sarà realizzato da fanatici talmente fissati con l’originale da contattare la Kodak per avere i dati sulla saturazione della particolare pellicola usata per girare Aliens: Scontro finale… e che non riescono a non sorridere quando parlano dei segreti che hanno imparato da Ridley Scott.

Questi fanatici sono gli uomini di Gearbox e il risultato è Aliens: Colonial Marines. Ed è ben diverso da un’altra semplice caccia all’insetto.


Chi c’è a bordo?

Finalmente passiamo svelare
quali voci dal film saranno presenti nel gioco originale

In precedenza Randy Pitchford ha tenuto la bocca chiusa riguardo al cast delle voci, facendosi sfuggire solo che «sono coinvolti diversi membri del cast dei film originali». Fortunatamente i segreti, proprio come gli xenomorfi, escono allo scoperto e veniamo a sapere quali veterani dei film andranno in cerca delle loro controparti a bordo della Sulaco.

Lance Henriksen fa ritorno per prestare la voce originale al successore dell’androide Bishop, che si chiamerà Rook: speriamo di non dover vedere anche le sue interiora bianchicce.

Dal cast originale di Aliens: Scontro finale, a dare la voce c’è anche William Hope. Precedentemente nel ruolo del tenente Gorman, Hope è salito di grado e ora doppia il comandante T. Shannon.

Anche il soldato Wierzbowski, un personaggio del film degno di nota per essere l’unico marine a non avere dialoghi a parte il suo urlo mentre muore, farà la sua apparizione, ma stavolta con il nuovo attore Josh Ridgway.

Niente da fare per la signora Weaver, quindi non sperateci.


Lo xenomaniaco

Randy Pitchford di Gearbox Studios al lavoro
con Ridley Scott per riportare Aliens in voga

Avendo parlato con Ridley Scott, come hai interpretato le sue perle di saggezza e fatte funzionare per il gioco?

Randy Pitchford: Sapete, a quella prima discussione, io non c’ero e non perdonerò mai Brian Martel (co-fondatore di Gearbox) per questo. Ma lui cera. È stata una discussione molto astratta. Non sapevano di cosa parlare in modo preciso. «Ok, cosa stiamo facendo qui?» C’era la voglia di capire i valori creativi presenti e un modo per far sviluppare una collaborazione.

Ridley si è molto appassionato a riguardo, ha mostrato i suoi storyboard, soffiato via la polvere che li ricopriva (logicamente non hanno visto luce per 15 anni o giù di lì) e ha iniziato a esaminarli. Quando hanno parlato del film, Brian gli ha spiegato cosa aveva in mente, cosa avrebbe fatto con la serie, poi hanno parlato della storia. Ridley ha condiviso l’universo come lo vede e come e perché esiste ciò che esiste.

Questo incontro ci ha permesso di credere che sarebbe potuto accadere e che se così sarebbe stato, sarebbe stato un prodotto di valore.

Come è stato lavorare con Fox? Quanto è stato disponibile il suo team alle idee che avete presentato loro?

20th Century Fox tiene in modo molto particolare ai suoi marchi. Sa anche quanto valga il talento e di quest’ultimo si fida. Ci sono due tipi di persone quando ci si relaziona al talento. Ad alcuni importa cosi tanto che vogliono restare con quel che c’è. E c’è il rischio che non corrano troppi rischi, stanno solo ricreando qualcosa che esiste già. Poi ci sono altri che credono di poterlo fare meglio e vogliono cambiarlo e farlo loro.

Il giusto equilibrio è in un po’ di entrambi. È una delle ragioni per cui abbiamo amato lo Star Trek di J.J. Abrams. Resta fedele a Star Trek, ma ha anche corso rischi e lo ha portato a una nuova forma. E penso che abbiamo trovato un modo, come se fosse qualcosa che ci è familiare e conosciuto, ma che allo stesso tempo apra nuove direzioni.

È una storia completamente nuova, non una replica del film. Avviene più in là nel tempo, con sviluppi, colpi di scena e personaggi nuovi, ma torniamo ancora su LV-426, torniamo ancora sulla Sulaco.

Bisogna trovare un modo per avere tutto. Deve essere nuovo, deve essere innovativo e bisogna fornire un’esperienza di narrazione mai avuta prima.

Riguardo alle armi, avete deciso di limitarvi a quelle dei film o avete creato qualcosa di nuovo?

Fin dall’inizio avrete accesso ad armi iconiche come il Distruttore. La nostra intenzione è di usare subito alcuni “assi nella manica” per definire l’atmosfera. Ovviamente se ci fossero solo le armi viste nei film, si rischierebbe di essere un po’ troppo prevedibili. Ma è complicato… se si vuole aggiungere qualcosa di nuovo bisogna fare in modo che abbia senso nell’universo di Alien.

Ci siamo assicurati che ogni cosa che vogliamo noi e ogni cosa che vogliono coloro che amano i film, ci sia.

Multiplayer e single player viaggiano affiancati, e il personaggio cresce nelle statistiche con il multiplayer. Come funziona?

Non diciamo single player o multiplayer, perché qualora lo vogliate, la campagna è anche in multiplayer, potete giocare in co-op.

Abbiamo tutti i modi possibili per divertirci: a volte vogliamo stare soli a luci spente e sonoro alto, ed è quello che comunemente consideriamo un single player, giusto? In questo modo il gioco funziona alla grande. A volte vogliamo fare una partita con un paio di amici e distruggere semplicemente qualcosa insieme. Vogliamo finire il gioco, vogliamo seguire l’esperienza narrativa, ma vogliamo che sia un’esperienza condivisa. Tutto si basa su single player, multiplayer e campagna e ognuno di questi può essere giocato in configurazioni differenti.

In “Mass Effect 3”, single e multiplayer sono modalità molto differenti. Quanto siete stati sorpresi dall’accoglienza di questo sistema da parte dei fan? Vi ha fatto preoccupare riguardo al sistema di Aliens?

Credo che quei ragazzi abbiano fatto un lavoro veramente ottimo nel migliorare un marchio e un gioco che hanno una struttura già consolidata. Il primo Mass Effect non ha questi accessi cui punta il terzo e, visto che Bioware ha lavorato per implementarli in un modello che già esiste, è una sfida differente. Noi abbiamo iniziato da zero, quindi penso sia un problema diverso. Abbiamo certamente le nostre sfide, ma ammiro Bioware per il suo desiderio di supportare ogni possibile modalità. È veramente difficile però, specialmente per il tipo di gioco che è Mass Effect, con una narrativa molto intensa.

Se “Aliens: Scontro finale” venisse ridotto in forma di videogioco, sarebbe un corridor shooter. Essendo un seguito ufficiale come vi siete comportati col design dei livelli?

Certe convinzioni e ipotesi mi piacciono, tra l’altro, perché quando i giocatori iniziano ad averne, noi le sfruttiamo; perché la Sulaco fa da contenitore. Il primo atto del gioco avviene nella Sulaco, ma alla fine vi ritrovate su LV-426, che è un mondo. Quindi non diventa un gioco open-world, ma quando siete stati per un po’ in un corridoio vi aspettate che tutto il gioco sia fatto cosi e di colpo viene da pensare: «Cavolo, ora sono in questo posto desolato». È un momento alquanto bello.

Non voglio fare spoiler, ma sfruttiamo il fatto che tutte le aspettative siano nei corridoi, per divertirci di più quando creiamo un “ambiente più largo”. Quindi quando arriviamo in superficie, possiamo divertirci un po’ con queste numerose variazioni, decisamente sorprendenti e che offrono nuove sfide.

Sapete che prendendo un gioco di Halo o Gears of War, o anche Call of Duty, all’apparenza penserete: “Mi sarei aspettato di avanzare lungo dei corridoi per la maggior parte del tempo”. E sono giochi lineari, ma poi ci sono anche quei momenti in cui le cose si allargano un po’ e potete pensare: “Oh, adesso c’è un campo di gioco tutto nuovo, questo sì che è forte”. Cambiano le sfide e questo diverte.


L.

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12 pensieri su “[2012-06] Colonial Marines su “PlayStation” 118

  1. Anch’io, da spettatore esterno, mi chiedo perché si siano così accaniti con quello che avrebbe potuto benissimo essere il seguito ideale di Aliens, ANCHE al cinema…
    E poi: “Randy Pitchford di Gearbox Studios al lavoro con Ridley Scott per riportare Aliens in voga”… solo io noto una leggera contraddizione nell’aspettarsi un qualsivoglia contributo creativo da chi non ha mai esattamente amato alla follia il lavoro del collega Cameron?

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    • Si sono accaniti perché Grarbox in tutte le presentazioni prima della pubblicazione ha spacciato come “in game” immagini e gameplay dall grafica stratosferica mentre il prodotto finale è decisamente al di sotto. È particolarmente evidente nelle versioni per console. La versione per PC se la cava leggermente meglio, ma gli asset grafici sono sub-standard. Quindi l’accanimento della stampa è perché questi “esperti” si sono lasciati prendere per i fondelli da Gearbox che ha poi scaricato ogni responsabilità sul team che ha sviluppato il gioco. Insomma l’ennesima storia di promesse non mantenute, peraltro alquanto diffusa nel mondo dei videogiochi.
      Il gioco, sebbene graficamente ha i difetti citati, riesce però a ricreare l’atmosfera di Aliens. Ciò che è riuscito a Isolation per Alien, riesce a Colonial Marines per Aliens. Ho giocato i primi livelli della versione PC e XBox360 e posso confermare che l’atmosfera è intatta. Sopratutto su PC – in cui mi sembra che il livello di difficolta sia tarato verso l’alto rispetto alla versione console – replica la tensione delle scene convulse di combattimento dopo la scoperta della fine dei coloni nel nido. Hai presente quando Vasquez urla “Let’s rock!” e scatena l’inferno? Beh già dal primo livello mi sono trovato in una situazione del genere. Devo finire questo gioco perché ne vale la pena, ma rimando sempre perché non voglio “spezzarne” l’esperienza in tante micro-sessioni distanziate nel tempo. Insomma, accettandone i limiti tecnici, vale la pena provarlo.

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