[2019-07] Another Life – Citare l’Alien sbagliato!

Perché mi tocca trovare la mia amata Katee Sackhoff in produzioni di alto profilo ma profondamente deludenti? Già la mia amata Kara Thrace ha dovuto tenere sulle proprie spalle l’intero 2036 Origin Unknown (2018), ora speravo che ritrovarla di nuovo in una serie di fantascienza fosse l’occasione giusta per rispolverare i passati fasti di Battlestar Galactica, ma c’è un problemino che gli sceneggiatori americani sembrano ignorare: citare va bene, rubare va bene, copiare tutto non va bene. Se poi si è incapaci, anche citare non va bene…

Come vedremo a settembre su questo blog, Alien (1979) ha rubato tutto il rubabile, è un film profondamente disonesto, ma essendo fatto bene – di gran lunga meglio delle opere da cui ruba – il risultato ci sta tutto.
La miniserie di dieci puntate Another Life ruba male, molto male. Anche dalle fonti sbagliate…

Un’altra volta, un’altra vita

La storia si apre con il personaggio più sbagliato di tutti: Harper Glass, una influencer seguita da mezzo pianeta e come tutte le influencer è vestita male, non ha un centimetro di pelle scoperta e ha 47 anni… No, aspetta, c’è qualcosa che non va: le influencer di solito sono l’esatto opposto… La povera Selma Blair, bravissima attrice ma qui totalmente fuori parte, è costretta ad essere immobile e mummificata per tutta la serie per non mostrare di avere trent’anni in più del ruolo che dovrebbe ricoprire. Per fortuna nelle ultime puntate il personaggio di Harper diventa così stupido e immondo da far dimenticare tutto il resto.
Comunque è lei che apre la vicenda, dicendo ai suoi follower: «Guardate, ci sono campane tubolari nel cielo!» Non dice così… ma dovrebbe…

Aprire citando Mike Oldfield: fatto!

Ci ritroviamo d’un tratto nella fotocopia di Arrival (2016), che poi era la versione fighetta del migliore Epoch (2001), anche se fingeva di rifarsi ad un racconto di Ted Chiang. Dal cielo arriva roba che non fa niente e tutti a chiedersi: cosa fa la roba che non fa niente?
«C’è una roba che non fa niente: è un problema?»
«Fa niente.»
«Sì, lo so, sta lì e non fa niente, ma è un problema?»
«Fa niente.»
«Ho capito che non sta facendo niente, ma è un problema?»
«Intendevo “fa niente” nel senso di non importa.»
Magari fossero stati questi i dialoghi della serie.

Visto che la roba dal cielo non fa niente, facciamo qualcosa noi: mandiamo dei fotomodelli nello spazio con due astronavi. Una per l’equipaggio e un’altra per il guardaroba. Ah, e una terza, con l’esercito di parrucchieri e visagisti necessari per mantenere gli astronauti sempre perfetti, per farli stare sempre con i capelli a posto, la barba ben gestita, la messa in piega e per assicurare un cambio di vestito ad ogni scena. È così che si vola nello spazio, che ne sapete?

Fighi e ben vestiti: è così che si vola nell’universo, capito straccioni?

Le scene nello spazio sono pura barzelletta, roba creata per i gggiovani che non hanno mai visto un film in vita loro e quindi credono che la space opera e la soap opera siano la stessa cosa. Così in una navicella diretta verso l’ignoto, con «la Terra che non nasce, sta per morire» (come cantava Grignani), questi baldi eroi – tutti ragazzini, tranne Katee Sackhoff nostra, gagliarda e tosta – si lanciano in giochi d’amore, «o dolci baci, o languide carezze» (come la Tosca di Puccini), cominciano a raccontarsi di quella notte a Mogadiscio, come Verdone, si guardano, si toccano… Ah, ora ho capito: Another Life si riferisce alla telenovela degli anni Ottanta!

Dieci puntate d’ammore, di “non lasciamoci più”, di “mi pensi? ma quanto mi pensi?”, di “l’ho vista prima io”, di “il triangolo sì, la geometria non è un reato”, di “dov’è finito l’incursore anale?”. Oh, tutto bello, eh? Tanto si dorme della grossa, che neanche il valium funziona bene come le stupidate amorose americane, perché magari ricordarsi che c’è una razza aliena che forse vuole spazzarci via dall’universo… Ah no, scusate, non volevo interrompere le “cene eleganti” dell’astronave.
Ora però, seri eh? Ora ci mettiamo a lavoro per… la guerra del sapone! Quale equipaggio spaziale non si è mai tirato addosso spugne bagnate?

Chi si ritira dalla pugna…

… si becca la spugna!

Questa imbarazzante pantomima – perché la Sackhoff ci si è infilata? – ci regala un modo figo per andare in sonno criogenico, o ipersonno che dir si voglia: degli aghi che ci entrano nel cervello. Oh, roba sicura, eh? Che un’astronave che balla nello spazio sicuramente non farà sì che gli aghi ci trasformino il cervello in groviera, ma tranquilli: il criosonno di questa serie cambia ad ogni episodio.
La prima volta che Katee si sveglia è traumatizzata e a malapena riesce a camminare: è normale, il fisico deve riprendersi dopo settimane o mesi di sonno forzato. Poi però per il resto della serie ci si sveglia in un lampo senza problemi. Poi dopo crea incubi poi non li crea più. Insomma, è un Criosonno delle Libertà: ognuno fa quello che gli pare.

Che piacere, svegliarsi dal criosonno

Quando si va a dormire in ipersonno è buona creanza darsi la buona notte. Come dite? Dagli anni Quaranta in cui è nata l’idea del sonno criogenico (probabilmente inventata da Arthur Clarke) nessuno ha mai augurato “buona notte” al dormiente? Come dite? L’unica storia di fantascienza a farlo è la saga aliena? No, non ci credo: Another Life vanta sceneggiatori freschi e innovativi, non si mette a copiare idee…
Quindi ci si rifà ad una frase tipica americana, «Good night. Sleep tight. Don’t let the bedbugs bite» (“Buona notte. Dormi bene. Non farti mordere dalle cimici”), e sicuramente non è una citazione aliena…

L’Alien giusto

L’Alien sbagliato

Quale androide ha un pollice e cita l’Alien sbagliato?

Quello che sembra solo un dubbio, che cioè William (Samuel Anderson), il ridicolo androide innammurato, sia una fotocopia fighetta del Walter di Alien: Covenant (2017) trova conferma quando nel terzo episodio viene ricreata identica la scena del pranzo di Alien (1979), solo che stavolta il Kane di turno non ha male al pancino… ma sulla noce del capocollo, come dice Lino Banfi.
Il “parto schienale” è una delle grandi idee malate che Pazzo Ridley ha introdotto in Covenant: vuoi vedere che questa serie è così malmessa da citare l’Alien sbagliato?

L’Alien sbagliato

La serie che cita l’Alien sbagliato

Scesi su un pianeta e iniziato a toccare tutto, compreso un liquido praticamente identico al black goo di Prometheus (2012), e iniziato ad assaggiare frutti a caso alla ricerca di qualcuno buono – oh Signore dei viaggiatori!, come cantava Jovanotti – è ormai chiaro: non voglio neanche sapere i nomi dei disagiati che hanno sceneggiato Another Life, so solo che hanno un gusto di merda nei film da citare.

Ma siamo scesi sul pianeta floreale di Annientamento (2018)?

Loro stessi, gli sceneggiatori dall’inferno, sono consapevoli che stanno sbagliando fonte di brutto, visto che poi cominciano a copiare dai film giusti.
Katee ha preso possesso della nave rubandola al precedente capitano, creando una situazione che grida Star Trek. Il film (1979) con tutto il fiato, e la conferma arriva più avanti, quando uno dei ragazzini dementi a bordo della nave si sacrifica ricreando identico il finale di Star Trek 2 (1982), ovviamente con la stessa carica emotiva del tagliarsi le unghie dei piedi.
Lo vogliamo aggiungere un pianeta che sembra copia-e-incollato da quello di Annientamento (2018)? E un personaggio che si rispecchia nell’oggetto alieno come in Sfera (1998)? Lo vogliamo aggiungere qualcuno che entra nel computer come 2001 Odissea nello spazio (1969)? Venghino, siòri, che le citazioni oggi le regaliamo…

No, non è una citazione da 2001 (1969), mica…

In quei rari momenti in cui l’equipaggio non si dedica ai giochi d’amore e alla soap space opera, e in cui non si copiano scene di film presi a caso, c’è la ridicola storia di questi alieni che mandano sonde in giro per l’universo per trovare le razze più stupide con cui interagire. E cosa fanno, una volta trovate? Fanno quello che TUTTI gli alieni fanno in TUTTI i film di fanta-scemenza americana: iniziano l’invasione più lenta dell’universo.
Una civiltà enormemente superiore per distruggerci ha bisogno di convincere un tizio a lavorare per lei e a convincere altri a lavorare per l’alieno, che l’alieno è bello, che l’alieno è vero, che l’alieno ama una notte intera, perché l’alieno è il sale, perché l’alieno è il vento e non sa che può far male… Nanananaaaana…. L’alieno adesso… è mio!

Ma sant’Iddio, sgancia un’atomica e vaffanculo!
Se davvero vuoi fare una citazione aliena, alieni cari: «decolliamo e nuclearizziamo». No, gli alieni sono così intelligenti che hanno bisogno di lunghe puntate per convincere una sola persona a lavorare per loro. Questo mi tranquillizza: ora che l’invasione sarà finita nel frattempo ci saremo già estinti da soli…

Mio Dio, quanto sono scesa in basso…

Tutto Internet ha preso a pernacchie in faccia questa povera miniserie – dal ridicolo finale aperto in attesa di future nuove stagioni, ma anche no! – quindi non ha senso sparare sulla Croce Rossa. Mi limito ad una constatazione: dopo I Am Mother (2019), questo è il secondo prodotto di fantascienza che si rifà palesemente a quel peto fetente di Alien: Covenant (2017), che è come dimenticare L’Esorcista (1973) e citare L’esorciccio (1975). No, esempio sbagliato: il secondo è migliore del primo!
Possibile che quella porcata immonda abbia davvero fatto breccia nelle confuse menti dei gggiovani spettatori di fantascienza? Oppure è un modo per esorcizzarlo? In fondo, pur nella sua totale dabbenaggine di sceneggiatura, il William di Another Life è mille volte superiore alla sua controparte Walter, però siamo sempre lì: perché con un universo di splendidi film… si va a citare la merda? (Per dirla alla francese.)

Spero di cuore che Katee Sackhoff riesca prima o poi a trovare qualcosa di dignitoso in cui apparire, qualsiasi cosa, perché ultimamente la sto vedendo in prodotti indegni della mitica Kara “Starbuck” Thrace…

L.

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