[1979-10] ALIEN su “Cinefantastique” (V9) 1 (quinta parte)

Nell’autunno del 1979 (nel titolo ho specificato “ottobre” per mere questioni di ordinamento cronologico) la rivista statunitense “Cinefantastique” (volume 9 numero 1) esce con un numero speciale quasi interamente dedicato ad Alien, con interviste al cast tecnico del film.

Ecco l’intervista al celebre curatore degli effetti speciali Carlo Rambaldi, italiano DOC che ha scelto di trasferirsi ad Hollywood sia perché dopo il successo di King Kong (1976) è diventato richiestissimo, sia perché le produzioni con budget più alti gli hanno permesso di utilizzare effetti speciali impensabili per il rachitico cinema italiano.


Making Alien 5:
Carlo Rambaldi

di Glenn Lovell

da “Cinefantastique”
volume 9 numero 1 (autunno 1979)

Una volta che Ridley Scott ha scelto l’alieno di H.R. Giger per il suo film, si dice abbia scherzato dicendo: «Be’, i miei problemi ora sono finiti, oppure sono appena iniziati». Ciò che Scott temeva era di dover usare un altro “uomo in costume”, tecnica di solito utilizzata per i film con gli alieni. La soluzione per evitare questo problema era semplice: non avrebbe mostrato il costume. Ma qualcosa doveva mostrare: arriva il maestro degli effetti speciali Carlo Rambaldi con una meravigliosa testa meccanica ad instillare la vita nel disegno di Giger. Almeno il 90% delle riprese dell’alieno che vediamo su schermo hanno per protagonisti i modelli della testa articolata creati da Rambaldi.

Carlo Rambaldi è naturalmente il genio degli effetti speciali che sembra sbucare fuori dal nulla per vincere un Oscar nel 1977 per il suo lavoro nel King Kong di Dino De Laurentiis. Sebbene quel film abbia dimostrato di essere un disastro dal punto di vista degli effetti speciali, il lavoro di Rambaldi – una enorme testa ed una titanica mano di Kong – è stato largamente acclamato. Sfortunatamente Rambaldi ha ricevuto anche le critiche dei fan dei modellini per aver costruito una versione meccanica a dimensione reale, null’altro che una trovata pubblicitaria di De Laurentiis. Anche agli occhi dei fan dei modellini più integralisti, Rambaldi ha conquistato nuova stima grazie al suo alieno meccanico di Incontri ravvicinati del terzo tipo, l’anno successivo, che ha utilizzato anche tecniche in stop-motion per la fluidità dei movimenti.

Il lavoro di Rambaldi per Alien, come quello per Incontri ravvicinati, è stato quello del “risolutore di problemi”, chiamato a salvare una situazione impossibile. «Ho ricevuto una telefonata dall’ufficio londinese della produzione di Alien», dice Rambaldi. «Chiedevano il mio aiuto perché era impossibile per loro ottenere ciò che volevano.» Rambaldi accettò di studiare il problema e gli furono inviate copie dei dipinti e disegni di Giger sull’alieno, indicando l’azione che doveva avere la sua lingua mobile. Fu chiesto a Rambaldi di ideare un meccanismo che facesse funzionare il tutto. Dopo aver studiato i disegni di Giger, Rambaldi accettò il lavoro perché disse di poter creare una soluzione in quattro settimane.

Rambaldi iniziò a lavorare nella sua compagnia hollywoodiana, con ben poca collaborazione dalla produzione inglese. Oltre ai dipinti di Giger gli furono mandati anche dei modellini grezzi dell’alieno. Iniziò a buttar giù degli schemi della testa aliena e delle parti meccaniche necessarie. Lavorando con le idee di Giger, Rambaldi ideò i movimenti facciali caratteristici della creatura. Tramite quegli schizzi il lavoro passò a disegnare i muscoli e i vari meccanismi. Rambaldi fece delle modifiche al disegno originale di Giger per venire incontro ai requisiti meccanici necessari, e scolpì una versione finale della testa aliena. Mandò un video del modello finito, mostrandolo da tutte le angolazioni, insieme a copie dei propri disegni all’ufficio della produzione di Alien per l’approvazione finale.

Ricevuto il via libera, Rambaldi procedette alla creazione dello stampo della propria scultura, infilando al testa in una speciale mistura di soffice poliuretano, che creò una naturale flessibilità per le parti mobili della testa della creatura. Rambaldi negli anni aveva sviluppato la propria personale formula del poliuretano, che riusciva ad imitare il tessuto vivente sia nell’aspetto che nel movimento. Una volta colorato, diede carne aliena quel caratteristico aspetto grigio metallico. La testa in poliuretano conteneva una forte struttura scheletrica in fibra di vetro modellata. Le parti mobili in fibra di vetro ricoperte dal poliuretano – come la faccia, le mascelle e la lingua – erano legate alla testa da punti di giunzione. La faccia da teschio dell’alieno era attaccata alla testa mediante un perno che permetteva movimenti controllati sia in orizzontale che in verticale. Questo faceva sì che la faccia aliena guardasse da una parte all’altra senza che questo corrispondesse al movimento dell’intera testa.

L’azione della lingua operava indipendentemente da quella dei muscoli delle mascelle. La lingua poteva andare piano e fermarsi in qualsiasi punto, ho poteva scattare fuori e tornare indietro in un movimento velocissimo, guidato dal potente meccanismo. File di denti metallici erano attaccati sulle mascelle e dietro questi c’erano denti aggiuntivi posizionati all’estremità della lingua, che si apriva come un’altra bocca. Rambaldi scelse di utilizzare l’acciaio per i denti così da fornir loro un forte riflesso, aggiungendo il giusto tocco per rendere più convincente l’aspetto della creatura di un assassino freddo, infido e quasi indistruttibile.

I controlli delle labbra superiori ed inferiori dell’alieno furono installati per permettere alla creatura di mostrare i propri denti semplicemente arricciando le labbra. Dei profilati, tre per ogni parte, furono utilizzati per simulare i tendini che uniscono le mascelle al teschio. Essendo traslucidi, permettono la visibilità dei movimenti della lingua nella bocca. Il tocco finale è stato uno strato di un centimetro e mezzo di materiale plastico che ricopre la superficie superiore della testa per la sua intera grandezza. Capace di essere sia traslucido che opaco, a seconda dell’illuminazione e dell’angolo di ripresa, questo strato dà all’alieno un aspetto sempre diverso.

Rambaldi ha costruito tre teste da utilizzare nel film: due meccaniche usate principalmente nei primi piani ed una leggera, non meccanica, per i piani lunghi. Delle due teste meccaniche, solo una era in grado di eseguire tutte le funzioni previste, ed era quella usata principalmente durante le riprese. La seconda era più leggera e più facile da usare, ma è stata utilizzata solo per le inquadrature dove la creatura arriccia le labbra.

Rambaldi ha portato le due teste complete in Inghilterra e ha passato lì due settimane a parlare con il regista Ridley Scott, lavorando sulla colorazione e sui dettagli finali dei modelli, ed insegnando alla produzione come usare le teste. Per via di impegni precedenti, Rambaldi non poteva rimanere a disposizione per le riprese, ma lasciò il suo collaboratore di Roma, Carlo DeMarchis, per addestrare la troupe e supervisionare i controlli durante le riprese.

Ogni movimento della testa aliena di Rambaldi è controllato a distanza mediante un cavo flessibile. Un controllo a leva fa sì che il cavo si contragga o si allunghi generando una corrispondente azione nei muscoli, nei tendini e nelle parti mobili del modello. Tutti i cavi arrivano alla testa passando dal collo, e raggiungono la lunghezza di più di un metro, così da permettere la libertà di movimento richiesta nelle scene d’azione.

Durante le riprese di Alien è servito un gruppo di sei operatori per controllare tutti i movimenti della testa nelle scene più complesse. Di contro, solo un massimo di sette operatori sono stati necessari per muovere l’alieno di Rambaldi visto in Incontri ravvicinati, e in quel caso c’erano movimenti del corpo e del torso oltre a quelli della testa, giusto per avere un’idea della complessità dei movimenti disegnati da Rambaldi per Alien. Durante le riprese sono state utilizzate tecniche speciali che hanno aggiunto più realismo, come il fluido che fuoriusciva dalla bocca quando la creatura apriva la bocca.

Rambaldi ha disegnato e costruito le teste articolate in modo così preciso da poter rimanere a lungo davanti all’obiettivo, sotto ogni angolazione, eppure la maggior parte dei suoi dettagli non viene mai mostrata durante il film. Rambaldi ride, sgomento: «Quando mostro questa testa agli amici, rimangono sorpresi. “Questo è l’alieno?”, esclamano. Non lo riconoscono perché nel film non hai mai un’inquadratura chiara. Hanno usato tutti i movimenti, ma le inquadrature della testa sono così veloci e l’azione così frastagliata che è difficile riuscire a capire cosa si stia guardando. Se avessi collaborato con il regista, il che mi è stato impossibile, avrei preferito maggior presenta in video della creatura, così da permettere al pubblico di notare i particolari. Secondo me, ho dato al regista 100 possibilità e lui ne ha usate 20. Forse aveva una ragione per farlo, magari sentiva che era preferibile lasciare l’alieno all’immaginazione.»

Un dettaglio che non si nota nel film, e non appare evidente dalle foto, è il sottile movimento giugulare quando la creatura spalanca le mascelle. Ralph Cobis, uno degli assistenti hollywoodiani di Rambaldi, che lavora principalmente sui calchi, precisa: «Quei movimenti erano di estrema importanza perché eliminavano totalmente l’idea della forma umana.» Concentrando la cinepresa sulla testa articolata di Rambaldi, Ridley Scott era in grado di eliminare l’immagine del “tizio in costume” e del mostro a forma umana.

Rambaldi attesta chiaramente a Giger il merito del successo dell’alieno. «Il profilo della testa esclude qualsiasi idea umana», dice. «Preferisco l’immagine di profilo: davanti, hai all’incirca le stesse linee di una testa umana.» Scott non mostra mai l’alieno di fronte, probabilmente per questa ragione, bensì da varie angolature del profilo, ad eccezione di un momento nel finale.

Il sistema di cavi usato da Rambaldi per gestire gli effetti speciali nel film Alien è praticamente lo stesso che ha introdotto ad Hollywood con King Kong, ed utilizzato in seguito per Incontri ravvicinati. Questo ha generato la falsa idea che lui si sia specializzato in questa tecnica a discapito delle altre: non è affatto vero. «A volte uso l’elettricità, un sistema idraulico o un meccanismo radiocontrollato», spiega. «La soluzione di un problema di effetti speciali dipende da molti fattori: il tipo di film, l’azione della sequenza, il tipo di movimenti richiesti, il regista, se il film viene girato in studio o all’aperto, il budget e il tempo a disposizione. Molti fattori.»

Uno dei progetti per cui Rambaldi ha sviluppato effetti speciali è il Greystoke di Robert Towne, la definitiva versione cinematografica del Tarzan di Edgar Rice Burroughs. «Per esempio», aggiunge Rambaldi, «se hai una creatura che salta da un albero all’altro, non è possibile usare un sistema di cavi: devi usare l’elettricità o il radiocontrollo, e la scelta dipende dal budget.»

Per Le ali della notte [Nightwing, 1979], Rambaldi ha usato tecniche di radio controllo per gestire dei pipistrelli meccanici. «Il controllo radio è più costoso», spiega, «ma la qualità è praticamente la stessa del cavo.» Il controllo radio è diventato necessario quando la natura dei movimenti di un modello impedisce l’uso di cavi di qualsiasi tipo. Per effetti come quelli visti in Alien il sistema di cavi ha il vantaggio che permette all’operatore di gestire bene i controlli: cambiando la pressione e la velocità nel premere le leve, grazie alla pratica acquisita, possono mettersi in pratica molti più movimenti che con il controllo radio.

Quando Rambaldi è arrivato in questo Paese nel 1976 per lavorare a King Kong era del tutto sconosciuto, sebbene avesse già lavorato per vent’anni nell’industria cinematografica italiana in più di 350 film e spettacoli televisivi. «Preferisco lavorare ad Hollywood», dice Rambaldi. «In Italia i film hanno budget bassi e quindi bisogna lavorare molto di fretta. Ciò significa che ho meno tempo per il mio lavoro, ed è impossibile per me raggiungere i livelli di qualità che ho raggiunto qui. In Italia è per me impossibile perfezionare un effetto speciale fino al suo massimo potenziale», aggiunge l’assistente Ralph Cobis. «C’è una naturale evoluzione nel campo degli effetti speciali. In Italia, dove c’è poco tempo, non puoi mai migliorarti, devi rimanere fermo, indietro con l’evoluzione, perché non ci sono i tempi per migliorarsi. Qui invece Carlo può migliorare quanto vuole, perché gli danno tempo.»

Il costo degli effetti speciali dipende dal livello di qualità e sofisticatezza desiderato. Per via di budget bassi, i produttori italiani di solito chiedono solo effetti di seconda o terza scelta. «Qui», afferma Rambaldi, parlando dell’America, «tutte le produzioni vogliono il massimo livello qualitativo, esclusivamente la prima classe. Questa atmosfera è buona per realizzare tutto il mio potenziale.»

Rambaldi è nato il 15 settembre 1926 a Ferrara, Italia. Nel 1947 si è diplomato all’Istituto Tecnico Vincenzo Monti e quattro anni dopo si è laureato in direzione cinematografica all’Accademia delle Belle Arti di Bologna. L’assistente Ralph Cobis attribuisce a Rambaldi grandi successi in questo Paese per via della sua formazione. «Carlo combina una conoscenza dell’ingegneria meccanica con un forte substrato artistico. Ad Hollywood puoi trovare ovunque qualcuno che lavori nel trucco, o negli effetti speciali, usando tecniche idrauliche per il movimento e il controllo remoto. La formazione di Carlo unisce questi due campi insieme. Con una forte formazione artistica, è stato capace di sviluppare modelli meccanici per effetti speciali basandosi sulle sue conoscenze anatomiche.»

Dopo il premiato lavoro su King Kong, Rambaldi ha creato la propria compagnia hollywoodiana, “Carlo Rambaldi – Sculptures and Electromechanical Creations for Cinematography”, ed ha ingaggiato sette specialisti a tempo pieno e trenta assistenti part time. Rambaldi considera il suo trasferimento ad Hollywood come permanente. «Ora ho una green card», afferma orgogliosamente, riferendosi al suo permesso di soggiorno lavorativo come immigrato residente. Conclude Cobis: «Già, niente più raid.»


L.

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5 pensieri su “[1979-10] ALIEN su “Cinefantastique” (V9) 1 (quinta parte)

  1. Me lo ricordo ancora il suo King Kong a grandezza naturale dal vivo 😉
    Impietoso il ritratto dell’italia “effettistica” dell’epoca, quando ancora il fantastico non era diventato un genere da praticare in assoluta clandestinità…

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    • Il primo paragone che mi è venuto in mente è con l’Hollywood più moderna, dove la velocità è l’unica regola e quindi si è trasformata nell’Italia dell’epoca! La grafica al computer è tanto bella ma è così inconsistente che si dimentica un minuto dopo: nessuno dimenticherà mai le creature di Rambaldi e degli altri maghi del cinema.

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