Storia dei fumetti alieni 5. Il nuovo universo alieno

In attesa di scoprire che ne sarà dell’universo narrativo alieno, mi sembra il momento giusto per iniziare a raccontare – per la prima volta al mondo! (e non sto esagerando) – la storia di trent’anni di narrativa a fumetti in un universo più vasto di quanto gli autori stessi abbiano idea.

Illustrazione di Raymond Swanland da AVP: Three World War (2010)


Lucius Etruscus

Storia dei fumetti
di Alien e Predator

(parte quinta)


Il nuovo universo alieno

Pinewood Studios, Gran Bretagna. I tecnici Fox stanno costruendo i set per il terzo film nel tentativo disperato di guadagnare tempo e risparmiare qualche dollaro, ma è tutto inutile: di dollari ne voleranno via ancora tantissimi, semplicemente perché ci sono i set… ma non c’è una sceneggiatura.

John Fasano non poteva passare la vita appresso a Ward e al suo pianeta-monastero, aveva impegni precedenti e così se n’è dovuto andare, lasciando il posto a Greg Pruss, il quale prende un’ottima sceneggiatura come quella di Fasano su soggetto di Ward e ne tira fuori cinque copioni alternativi, tutti con un grave problema. Stando alle ricostruzioni dell’epoca, Vincent Ward si era così appassionato all’idea del pianeta-monastero e dei suoi abitanti che rifuggono la tecnologia… da lasciare in secondo piano quei personaggi minori, di poco conto, come Ripley e l’alieno. Quando la Fox faceva notare che solo Ripley e l’alieno erano importanti per il film, e che i monaci erano solo uno sfondo, si finiva a litigare, con Greg Pruss in mezzo che non sapeva cosa fare. Alla fine mollano il progetto, prima Pruss e poi Ward. La Fox ha speso finora qualcosa come tredici milioni di dollari… e non ha niente in mano, se non qualche set che non si sa a cosa serva. Di quei tredici milioni, quattro sono andati per “convincere” Sigourney Weaver a tornare: all’epoca è fra i più ricchi ingaggi di un’attrice. Senza contare l’opzione per cui Sigourney in quanto co-produttrice riceverà una percentuale sugli incassi: questo farà sì che la donna piomberà come un ciclone sui set inglesi e i testimoni racconteranno di una lavorazione resa ancora più difficoltosa dalle richieste dell’attrice.

Siamo ancora lontani dal primo ciak

Intanto non va certo meglio sul fronte Predator 2, che al botteghino non sta affatto avendo il risultato sperato, anzi: è un flop clamoroso e il cacciatore spaziale può benissimo andare a riporre la sua lancia nello sgabuzzino. Con il cinema ha chiuso.

Alla Dark Horse il fondatore Mike Richardson e il suo fido braccio destro Randy Stradley assistono in poltrona al crollo verticale dei progetti alieni della Fox. Loro non hanno prime donne da accontentare, non hanno set da costruire: hanno solo disegnatori bravissimi ed ottimi sceneggiatori lasciati liberi di creare un intero universo. Un universo abbastanza grande per Alien e Predator.

Cover di Chris Warner

Con la trilogia di Verheiden completata, la casa apre il 1991 con la novelization a fumetti di Predator 2, un lavoro palesemente su commissione che però apre la via all’inizio dell’universo personale che la casa sta costruendo: nel marzo del 1991 esce Predator: Big Game, coi testi di John Arcudi e i disegni di Evan Dorkin.

Abbandonato ogni collegamento filmico, la saga ci racconta di un militare di origini nativo-americane, Enoch Nakai, che nel New Mexico assiste a strani avvenimenti: in breve, è sceso un Predator per la stagione di caccia e toccherà ad Enoch essere eroe involontario nel risolvere il problema, ricorrendo a tecniche di caccia appartenenti ai suoi antenati. Si tratta del primo e mitico vagito del nuovo corso del personaggio, e un messaggio bello forte ad ogni fan. Il cinema vi dà solo delusioni: seguite i nostri fumetti.

Mentre cerca di entrare nel cinema, intanto Mark Verheiden deve pur lavorare e la Dark Horse gli offre un piatto troppo gustoso per rifiutarlo: il seguito della sua storia di Predator. Mark è rimasto scottato con la Fox, che gli ha rubato l’idea per farne Predator 2, e quindi probabilmente dev’essersi detto: cosa posso rubare alla Fox per vendicarmi?

Cover di Ray Lago

Sicuramente è solo una mia illazione, ma guarda caso dopo la Guerra Fredda che Walter Hill e Gibson avevano provato ad inserire nel mondo di Alien… Verheiden la inserisce in quella di Predator. Per la prima volta manda creature dichiaratamente amanti del caldo in un clima gelido, quello della Siberia, prende il suo Schaefer – perennemente alla ricerca del fratello Dutch – e sempre con i disegni di Ron Randall lo manda a combattere fianco a fianco di una grintosa soldatessa sovietica in Predator: Cold War, del settembre 1991 (tre mesi prima del crollo dell’Unione Sovietica).

Per l’occasione lo sceneggiatore crea nuove armi, come aveva fatto nel precedente numero, che poi purtroppo non verranno più riprese dagli autori successivi, tutti molto scarsi dal punto di vista degli armamenti.

Mentre la Fox boccheggia tentando di far galleggiare il progetto Alien III ed il produttore Roger Birnbaum assume un regista di videoclip che si è fatto la gavetta negli effetti speciali ai tempi de Il ritorno dello Jedi (1983), un certo David Fincher, la Dark Horse dà vita al suo secondo big bang: la nascita dell’universo indipendente di Alien dopo quello di Predator, e si parte nel novembre 1991 con Aliens: Genocide, firmata dai decani Mike Richardson e John Arcudi con i disegni di Damon Willis.

Cover di Dave Dorman

L’idea è di dar vita ad un universo narrativo con storie a sé stanti ma collegate da piccoli particolari, e questa scelta verrà molto potenziata quando, qualche anno dopo, la casa darà mandato alla Bantam Books di trasformare in romanzi i fumetti che costituiscono il nuovo universo di Alien e Predator: i romanzieri creeranno rimandi molto più stretti fra le storie, ma già nei fumetti è chiara l’intenzione della casa.

Con la trilogia di Verheiden eravamo rimasti che la Terra è stata liberata da Ripley, ora quindi abbiamo gli umani che devono gestire sacche residue di xenomorfi e soprattutto hanno molta più sicurezza nei confronti delle creature. Così quando degli scienziati scoprono che dalla pappa reale della Regina si può sintetizzare la più fenomenale droga dell’universo, la Xeno-Zip (che si pronuncia zino-zip), e che quindi le multinazionali chimiche possono fare soldi a palate, si parte tutti per il mondo natale alieno a fare scorte di pappa reale, come raccontato appunto in Genocide.

Una dose di Xeno-Zip disegnata da Damon Willis

Non ci sono solo missioni ufficiali, patrocinate dalla spietata Weyland-Yutani i cui interessi sono sempre biechi e i mezzi sempre disumani, anche privati aiutati da fondi illeciti possono partire alla conquista degli alveari, come in Aliens: Hive (febbraio 1992) di Jerry Prosser e Kelley Jones. Il malato professor Stanislaw Mayakovsky, la sua formica elettronica, un cane, uno xenomorfo robotico e una ladra affascinante partono per il pianeta madre alieno a caccia di pappa reale, che oltre a sintetizzare la droga che garantisce grandi guadagni potrebbe guarire la malattia del professore.

Si comincia ad elaborare ogni aspetto dell’universo alieno, per esempio ad ideare il terribile funzionamento degli alveari che ci racconta Jim Woodring, con gli spietati disegni di Kilian Plunkett, nell’oscuro Aliens: Labyrinth (settembre 1993), dove un sopravvissuto alla terribile esperienza di essere “cavia da esperimenti” degli xenomorfi diventa un dottore con più d’una rivalsa da prendersi, sia sugli alieni che sugli umani.

Ian Edginton (con Will Simpson ai disegni) ci parla di un altro dottore che studia il comportamento xenomorfo, con ambizioni così grandi da creare un Re alieno che sappia affrontare la Regina, in Aliens: Rogue (aprile 1993), mentre Chet Williamson e Tim Hamilton ci raccontano di un compositore che ha studiato così a fondo la comunicazione delle creature aliene da voler arrivare a comporne una terribile sinfonia, in Aliens: Music of the Spears (gennaio 1994). La Dark Horse è ben consapevole che niente di tutto questo sarà mai preso in considerazione per il cinema, per ovvi motivi di costi, e che quindi renderà unici e insostituibili i fumetti, come in effetti è stato.

Io questo lo chiamerei… Xeno-rock!

L’universo di Predator non sta certo a guardare, e addirittura la blasonata DC Comics chiede in prestito il personaggio per il primo (e migliore) di una serie di scontri con l’uomo-pipistrello della casa: Batman vs Predator, del dicembre 1991. Per la prima volta uno dei due alieni “gioca fuori casa”. Ai testi c’è Dave Gibbons mentre i disegni sono affidati niente meno che ad Andy Kubert, figlio del maestro Joe Kubert.

Cover di Dave Gibbons

A Gotham City si apre la nuova stagione di caccia per il Predator di turno, e stavolta a Batman non basterà mettersi in una delle sue pose da “bel tenebroso” e usare qualcuno dei suoi “giocattoli”: mazzolato a dovere dal cacciatore spaziale, stavolta Bruce Wayne dovrà ricorrere a qualcosa di più corposo. Per esempio quell’armatura corazzata che tornerà utile, al cinema, per affrontare Superman.

Scontro di titani

Inizia una serie di riflessioni sul personaggio, sul fatto che uno di questi cacciatori amanti della Terra potrebbe già essere sceso sul nostro pianeta in passati periodi storici, e prima che l’idea sia inflazionata in varie piccole storie ci pensa la breve saga Predator: Bloody Sands of Time (febbraio 1992) ad approfondire. Purtroppo Dan Barry (con Chris Warner ai disegni) è poco incisivo, con la sua storia di alcuni soldati della Prima guerra mondiale che vedono “qualcosa” aggirarsi sul campo di battaglia.

Un perfetto terreno di caccia per un Predator

Viene chiamato il romanziere Andrew Vachss ad immaginare cosa succederebbe se un Predator finisse in una prigione piena di pericolosi criminali (Predator: Race War, febbraio 1993). È davvero un peccato che la storia sia molto deludente, perché aveva tutte le premesse per essere un piccolo gioiello.

Nascono storie-simbolo come Predator: Bad Blood (dicembre 1993) di Evan Dorkin e Derek Thompson, adorata dai lettori italiani perché è fra le rarissime ad essere arrivate nel nostro Paese, prima dell’opera  della saldaPress del 2017. L’idea è che non tutti i Predator seguano quel codice d’onore a cui siamo abituati, non sono tutti guerrieri onorevoli: ci sono anche schegge impazzite che solo un altro Predator può fermare. Il problema è che se lo scontro avviene sulla Terra ci saranno parecchie vittime umane.

Cover di Paul Johnson

L’elemento religioso creato da Verheiden viene ripreso con una storia-capolavoro come Aliens: Sacrifice (maggio 1993) di Peter Milligan, in cui una religiosa naufraga su un pianeta dove la comunità umana compie sacrifici di sangue all’alieno-dio nel bosco, come fosse un culto pagano: non disposta a lasciar correre, la donna affronterà il “falso dio” con la sola forza della sua fede. La storia è di una potenza deflagrante, dimostrando che niente di quanto farà la Fox su grande schermo potrà mai eguagliare anche solo una vignetta di questo nuovo, coraggioso universo.

Sul tema religioso ci sarà anche la decisamente minore Aliens: Salvation (novembre 1993), con un missionario naufrago e il suo rapporto con un alieno in forte odore di Robinson Crusoe e Venerdì, ma in realtà è una storia non memorabile. Va citata giusto perché è l’unica storia aliena ad avere i disegni del celebre Mike Mignola, che per la casa ha sempre curato Hellboy.

Un alieno firmato dal celebre Mike Mignola

Si prova un nuovo scontro fra le creature – Aliens vs Predator: The Deadliest of the Species di Chris Claremont, una indigesta ed illeggibile serie di dodici albi squinternati iniziati nel luglio 1993 – e mille altre strade.

Illustrazione di John Bolton per Deadliest of the Species (1993)

Questa esplosione creativa sembra nascere proprio nel momento più buio della lavorazione di Alien III, e all’incirca quando nasce l’universo alternativo a fumetti, con Aliens: Genocide, quello filmico sembra essere sul punto di collassare. Perché i dirigenti Fox scoprono che il copione che David Fincher ha personalmente preparato per il film prevede una durata di quattro ore e un budget di 150 milioni: «Secondo me doveva essere un lavoro… alla Apocalypse Now», racconta Fincher al giornalista John H. Richardson della rivista “Premiere” (n. 5, maggio 1992).

Chiamato lo sceneggiatore Larry Ferguson per arginare questa follia e scrivere in quattro settimane una nuova sceneggiatura – al costo di 500 mila dollari – il risultato è una storia con sette monaci e una donna venuta dallo spazio… Biancaneve in chiave aliena! «Sono serissimo, giuro su Dio», spiega Fincher nella citata intervista. «Alla fine c’erano questi sette nani e c’era questo cazzo di bara tubulare in cui infilavano Ripley, in attesa che il Principe Azzurro arrivasse a svegliarla. Questo era uno dei finali che avevamo per questo film. Sai cosa disse Joe Roth [neo-capo della Fox] quando lo seppe? “Che cazzo sta succedendo, qui?”».


Il dramma di Alien 3

Il 19 maggio 1992 viene presentato in anteprima californiana il film Alien ³ (con il “cubo” invece di un normale “tre”) e gli universi si scontrano.

Sullo schermo viene proiettato quello che nel migliore dei casi si potrebbe definire un “minestrone”: pezzi di sceneggiature diverse infilate a forza nello stesso pentolone, mescolate ruvidamente con un montaggio quanto meno approssimativo, con personaggi che vanno e vengono con poca convinzione e con motivazioni spesso fumose, essendo il parto sbrigativo di un processo di gestazione corale durato anni. Ci sarà tempo per una petizione internazionale – firmata anche dal sottoscritto – per chiedere alla Fox la versione “originale” del film, o almeno quella meno devastata da interventi poco ispirati, che la casa presenterà nel 2003 all’interno del miglior prodotto home video dell’universo alieno, il cofanetto “Alien Quadrilogy”, ma intanto il terzo film di Alien è quello che tutti sapevano sarebbe stato: un disastro su tutta la linea, salvato esclusivamente da una titanica operazione di lancio pubblicitario, come la Fox smetterà di farne dagli anni Duemila. Un lancio che assicura almeno un rientro delle spese, in patria.

Cover di Arthur Suydam

Al di là dei numeri e degli introiti, la Dark Horse non ha che da guadagnare sulla pubblicità a tamburo battente del mondo alieno, anche se il prodotto cinematografico rende “apocrifo” ogni suo fumetto: il terzo film è così palesemente orribile che la sua “canonicità” è totalmente aleatoria. La Dark Horse non ha problemi a presentare la novelization a fumetti di Alien 3, esperimento curioso di una casa che presenta un fumetto che contraddice quanto appena raccontato dagli altri suoi titoli, ma i fan non sono ciechi (almeno quelli americani): una buona storia è una buona storia, e visto che il cinema non è in grado di presentarne, ben venga il mondo dei fumetti.

Cover di John Bolton

Ci sarebbe da discutere sulle vere motivazioni che hanno spinto la Dark Horse ad alcune scelte prese a ridosso dell’uscita al cinema del terzo film, ma sta di fatto che la casa sembra voler far di tutto per non porsi “contro” la saga filmica, tanto da correre ai ripari.

Per esempio nel maggio del 1992, meno di un mese dopo l’arrivo in sala di Alien 3, esce il fumetto Aliens: Newt’s Tale che si pone come punto di raccordo fra il secondo film e le terribili scelte del terzo. In realtà il progetto era iniziato molto prima, infatti salutando i lettori dal sesto ed ultimo numero di “Aliens” (luglio 1989) Randy Stradley annunciava che «l’editore Mike Richardson ha iniziato a lavorare ad un lungo adattamento romanzato del film», riferendosi all’Aliens di James Cameron. Il risultato è ben diverso.

Nel brevissimo Aliens: Newt’s Tale – appena due numeri – viene sì raccontata la storia del film Aliens (1986) ma stavolta solo ed esclusivamente dal punto di vista della piccola Newt, dal ritrovamento del relitto da parte di suo padre (scena all’epoca ancora inedita) fino all’arrivo dei Colonial Marines, e la storia si chiude con Ripley e Newt che si mettono in sonno criogenico nella Sulaco. Ma l’ultima vignetta mostra un facehugger che incombe sulla bambina, che infatti apparirà già morta all’inizio di Alien 3: una sola vignetta basta a creare un filo narrativo tra il secondo e il terzo film.

Ripley e Newt, stavolta disegnate bene

Quindi la Dark Horse accetta il “canone” sacrificando se stessa? Quello che succede sembra essere una prova in questo senso, perché – come accennato – nel 1992 iniziano i romanzi di Aliens: non si sa se sia stata un’idea della Bantam Books, quella di sfruttare l’eco mediatica aliena attingendo a storie già scritte e facendole romanzare ai propri autori, o se la Dark Horse stessa si sia rivolta alla casa editrice per trasformare in romanzi le proprie sceneggiature a fumetti, fatto sta che proprio dall’ottobre 1992 inizia una lunga sequenza di uscite librarie con i fumetti trasformati in romanzi. E ad aprire le danze è la trilogia di Verheiden. Com’è possibile? Ormai tutti sanno che Newt ed Hicks sono morti all’inizio di Alien 3, come si possono raccontare le loro avventure in libreria? Semplice… si cambiano i nomi!

La terribile “rinominazione” del 1992: Newt ed Hicks diventano… Billie e Wilks!

Con una scelta che spezza il cuore a Verheiden – e a tutti noi fan – dal 1992 Newt diventa Billie, Hicks diventa Wilks e il pianeta Acheron diventa Rim. Solo Ripley rimane tale, per ovvi motivi di richiamo mediatico, il che non ha senso: visto che muore anche lei, nel terzo film, la sua presenza nella saga di Verheiden è automaticamente apocrifa. Gli editori non sprecano una sola parola di spiegazione sull’argomento. E quando nel 1996 la Dark Horse ristampa in volume la trilogia mantiene i nomi fasulli, che rivedranno la luce solamente nell’anniversario del 2016, quando la saga tornerà al suo passato splendore.

La versione romanzata della trilogia a fumetti di Verheiden:
solo i primi due (splendidi) titoli sono usciti in Italia

la saga è disponibile in eBook in lingua originale

 

Potremmo interpretare tutto questo – novelization del terzo film, riscrittura della storia di Newt per agganciarsi alle vicende filmiche e revisione delle storie passate per non creare conflitti – come una resa incondizionata della Dark Horse alle esigenze della Fox, ma forse, e dico forse, esiste un’altra interpretazione: la casa ha accettato tutto questo semplicemente per continuare a cavalcare l’onda mediatica del terzo film e continuare a sfornare storie tranquillamente in conflitto con esso, creando in vari anni un universo narrativo qualitativamente superiore a qualsiasi opera cinematografica, passata, presente e futura. E per far capire che la casa la sa lunga, che conosce molto più Aliens di quanto non lo conoscano i vari sceneggiatori che non hanno saputo raccontarlo, infila dei piccoli “indizi” nei propri fumetti: piccoli richiami che sfidano le conoscenze anche del fan più informato dell’epoca.

Per esempio in Aliens: Earth War (giugno 1990) di sfuggita Verheiden cita Amy, la figlia di Ripley – quella Amanda Ripley il cui nome attraversa l’universo alieno almeno dal 1983 ma che solamente dal 2014 è stata resa graficamente, con il videogioco Alien: Isolation – e questa informazione non è nota come oggi.

Mamma Weaver interpreta Amanda Ripley in Aliens (1986)

Amy viene citata in una scena di Aliens oggi ampiamente nota ma che all’epoca nessuno conosce: l’edizione estesa del film di Cameron, con ben 17 minuti in più, viene promessa dalla Fox in laserdisc nell’aprile 1990 ma poi slitta a fine 1991 (come ci informa la rivista specialistica Watchdog dell’epoca). Si parla di 50-60 mila copie sicuramente vendute nel mercato americano, cifre ridicole in confronto a quelle delle vendite del DVD del 1999, con quei 17 minuti riattaccati nel film stesso. Insomma, nell’estate del 1990 Amanda Ripley non era nota come lo sarebbe diventata nove anni dopo.

Per Newt’s Tale si va ancora più sullo specialistico e viene mostrato a fumetti il momento in cui Ripley ha appena salvato Newt nelle fondamenta della base di Hadley’s Hope e sta raggiungendo l’ascensore: incontra Burke, l’infame traditore, e gli mette in mano una granata. Ci pensi da solo, ad uccidersi per evitare l’orrore alieno. Esiste una rarissima foto di scena che mostra come questa sequenza sia stata effettivamente girata ma non esiste in alcuna edizione speciale del film: eppure campeggia nel fumetto Dark Horse del 1992. (Nell’ottima antologia del 2017 Aliens: Bug Hunt c’è un racconto che segue la fuga di Burke e cita l’incontro con Ripley.)

La celebre scena girata ma mai inserita in Aliens

Sarebbe bello ipotizzare che gli autori della Dark Horse abbiano avuto accesso alle scene inedite del film Fox, ma è molto più facile che per queste “chicche da fan” si siano affidati al romanzo-novelization del 1986 di Alan Dean Foster: va però notato che all’epoca nessun fan poteva sapere se queste scene Foster se le fosse inventate o se facessero davvero parte del film pre-montaggio finale, mentre gli autori Dark Horse sanno che sono vere sequenze eliminate.

Malgrado molti fan (specialmente italiani) credano che i fumetti alieni siano apocrifi in quanto non tengono conto del fantomatico (ed inesistente) “canone”, i fatti dimostrano che è esattamente l’opposto: gli sceneggiatori a fumetti sono molto attenti ai film della saga, al contrario degli sceneggiatori per il cinema, che invece sparano a casaccio.

(continua)


L.

– Ultime “indagini”:

4 pensieri su “Storia dei fumetti alieni 5. Il nuovo universo alieno

  1. E purtroppo quei molti fan italiani sono stati ulteriormente incoraggiati nelle loro false convinzioni pure dalla linea editoriale della Saldapress. visto come (cosa ben nota a noi lettori) quest’ultima non ha MAI perso l’occasione nei redazionali per sottolineare quanto questa o quell’altra storia fossero apocrife, non canoniche, non ufficiali, fuori continuity ecc. ecc… 😦

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    • Purtroppo il grave problema dell’editoria italiana è che si affida ad una sola persona per la cura, senza prima informarsi di cosa pensi quella persona e di che visione abbia dell’universo in questione. E’ successo alla Sperling & Kupfer sul finire dei Novanta, quando provò a portare i romanzi di Star Wars in Italia, affidandosi ad un curatore che addirittura non ha voluto tenere conto delle direttive di George Lucas: e chi è ‘sto tizio per dire A ME cosa fare? 😀
      Teoricamente un curatore dovrebbe mettere da parte le proprie opinioni e la propria tifoseria e offrire una panoramica ai lettori, non indottrinarli nel proprio integralismo. Invece gli universi narrativi sono composti da hooligans che sprangano tutto ciò che esula dal loro personalissimo (e folle) canone, distruggendo così proprio l’universo che amano.

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