ALIEN 3 by John Fasano (3)

Dalle mie traduzioni del 2003 ripesco la versione di un altro dei “padri mancati” del progetto Alien III: John Fasano, su soggetto di Vincent Ward e John Fasano.

 


ALIEN III

by John Fasano

(terza parte)


Interno della cella di Ripley – Notte.

Oscurità. Da qualche parte l’acqua sta filtrando e creando una pozzanghera.

Ripley giace con la testa vicino al buco sul pavimento, con gli occhi chiusi.

RIPLEY: Dovunque vado…

Una mano passa un tozzo di pane attraverso il buco. Lei apre gli occhi e guarda il cibo. Appare la testa dell’uomo dai capelli bianchi.

UOMO DAI CAPELLI BIANCHI: Prendi.

RIPLEY: No, ti ringrazio Anthony.

Lei sa il suo nome.

ANTHONY: Aspetti forse il pranzo? Loro non mi portano da mangiare perché sanno che sono un androide, e quindi non ne ho bisogno. Il pane è sicuramente meglio per te: è difficile da digerire, così ti sentirai più piena di quello che sei.

RIPLEY: Non ho fame.

Anthony ne prende un morso.

ANTHONY: Mmm. Veramente delizioso.

Ripley si rigira e fissa il soffitto.

RIPLEY: Stai sprecando tempo.

ANTHONY: Se non mangi morirai, ragazza.

RIPLEY: Era questo il piano quando mi hanno sbattuto qui. Perché ti interessa?

ANTHONY: Solo perché sono una persona sintetica allora pensi che non mi possa interessare?

RIPLEY: Credimi, questa non è una discussione che puoi fare con me.

ANTHONY: Mi hai detto che hai avuto una brutta esperienza con un androide, ma anche una buona…

RIPLEY: Questo vuol dire che puoi comportarti in uno o nell’altro modo. Sono stufa di parlare di questo.

Lui spinge di nuovo fuori il pane verso di lei.

ANTHONY: Devi comunque mangiare. Devi combattere quei bastardi.

RIPLEY: Sono stanca di combattere. Magari sarò morta prima che lui mi trovi. Magari non avrà que­sta soddisfazione.

ANTHONY: Lui? Parli come se questo alieno abbia un conto personale aperto con te. La biologia che hai descritto – una Regina che depone le uove, le larve, i droni – è molto simile agli insettoidi. Gli insetti di solito non portano rancore.

RIPLEY: E gli androidi di solito non sono prigionieri di folli che si credono degli antichi Greci!

ANTHONY: Monaci medievali.

RIPLEY: Quello che è.

ANTHONY: Hanno soltanto scelto uno stile di vita, non credono di essere… (Sente qualcosa.) Cos’è stato?

Ripley si concentra ad ascoltare. In lontananza sente bussare sulle pareti. Una voce che chiama…

Interno corridoio del livello prigione – Notte.

JOHN: Ripley!

Percorre l’androne battendo con i pugni sul muro ogni pochi passi. Aspetta un attimo per cercare di sentire una risposta, poi continua.

Interno cella di Anthony.

Anthony si muove dalla fessura, così Ripley riesce a vedere nella cella. Le pareti della cella di Anthony sono ricoperte da schizzi di carbone. Differenti versioni di dèmoni e diavo­li. Lei gira gli occhi: questo tipo è un androide!

Anthony si avvicina alla porta della sua cella e guarda fuori. Vede John dirigersi verso di lui, bussando sulle porte delle celle.

ANTHONY: Ehi! Tu che stai bussando. Smettila: sveglierai tutti.

John si avvicina alla porta di Anthony e lo guarda attraverso la fessura. Anthony lo riconosce.

ANTHONY: Fratello John?

John apre la porta e afferra Anthony per la casacca.

JOHN: Anthony? Credevo fossi morto quindici anni fa!

ANTHONY: Sono stato fatto troppo bene. Che stai facendo qui?

JOHN: Sto cercando… l’abate…

ANTHONY: Cosa? Ehi, sembra che tu abbia visto il Diavolo!

RIPLEY (fuori campo): L’ha visto, infatti.

Anthony si sposta per guardare Ripley, così facendo permette anche a John di vederla attraverso il buco nella parete.

ANTHONY: Vuoi dire che lui…

Anthony si gira ma John se ne è andato. Ora sta cercando di staccare via le tavole di legno dalla cella di Ripley.

RIPLEY: Avevo ragione, vero? Tu l’hai visto: hai visto l’alieno. (John si ferma un attimo.) Penso proprio di averci azzeccato. È venuto con me. Vai via! (John guarda la parete. La voce di Ripley esce chiara dalla parete di legno.) Ascolta, prete, o chiunque tu sia: so cosa vuoi e non posso aiutarti. Non posso aiutare nessuno. Smetti di fare qualsiasi cosa tu stia facendo e vattene. Hai capito?

John ha aperto una fessura che lascia intravvedere gli occhi di Ripley. Lui la guarda fisso e cerca di trovare un argomento per rispondere. Continua a lavorare mentre lei parla…

RIPLEY: Hai intenzione di restare, padre? Ma non hai intenzione di parlare, però. Va bene, allora ascolterai. Il tuo abate aveva ragione: sono colpevole. Ma non di eresia: di omicidio! (John si ferma di nuovo per fissarla negli occhi.) L’omicidio dell’equipaggio della Nostromo. Fu quando incontrai per la prima volta l’alieno.

Questo ricorda a John il motivo del perché lui si trovi in quel posto. Aumenta lo sforzo sulle tavole…

RIPLEY: No, non lo stesso alieno che è qui ora. O forse sì. Magari sono tutti lo stesso alieno! Non potei sal­vare il mio equipaggio allora, eppure avrei dovuto esserne capace… ma non ci riuscii. Quando par­tii la seconda volta… (i suoi occhi si ammorbidiscono) … incontrai Newt. Newt. Riuscii a rimanere viva per mantenere lei in vita. Credevo… speravo… (Il muro di legno comincia a cadere.) E poi l’alieno alla fine l’ha presa. Qual è il punto? Vattene e basta, lasciami qui. Se mi fai uscire vor­rai che io ti aiuti e tutto ricomincerà di nuovo. Lascia invece che finisca. (John finalmente entra nella cella, accendendo una torcia. Ripley lo guarda.) Non posso aiutarti.

John ansima per l’agitazione. Inghiotte…

JOHN (ansimando): Ti prego.

RIPLEY: Non finirà mai.

Interno corridoio del livello prigione – Notte.

Un lungo corridoio con una torcia ogni venti piedi. C’è movimento in lontananza, un movimento che si avvi­cina all’inquadratura. Sono Ripley, John ed Anthony che corrono insieme.

RIPLEY (fuori campo): Una pecora?

Anthony porta una lunga tavola di legno sottile. John ha la sua borsa e Ripley porta la torcia.

ANTHONY: Dev’essere in grado di assumere alcune delle caratteristiche dell’animale dentro il quale cresce. Devono far parte di qualche sorta di razza guerriera aggressiva, che deposita le uova in piane­ti ostili.

RIPLEY: Ed oltre a prenderne le caratteristiche credono che quell’animale sia la forma dominante del pia­neta. Così quando crescono in un uomo…

Ripley torna indietro con la memoria.

ANTHONY: È un bipede. In una pecora o bue diventa un quadrupede.

RIPLEY: Merda. Non credevo potesse farlo anche agli animali.

JOHN: Aspetta un momento: io credevo che tu fossi l’esperta su questo mostro.

RIPLEY: È solo per questo che sei venuto a salvarmi? Perché io conosco questa creatura?

JOHN: Sì… cioè, no! Voglio dire, in parte. Senti, non ho mai creduto che tu avessi torto. Io ho avuto torto a non dire niente: avevo paura di parlare. Sai, è difficile essere un monaco.

Ripley si ferma e lo guarda.

RIPLEY: Grazie. Se non altro sei onesto.

JOHN: Lo siamo tutti. Abbiamo preso dei voti.

RIPLEY: Non sono sicura nel caso dell’abate.

JOHN: Io sono sicuro che lui pensi di aver agito correttamente.

RIPLEY: Lo stai difendendo?

JOHN: No, è solo carità.

Lei sorride, poi girano un angolo. Entrano in un salone con una marcata pendenza: devono attendere un atti­mo prima di ritrovare l’equilibrio.

RIPLEY: Va bene, dimentichiamo il passato e cerchiamo di sopravvivere. Ci sono altri prigionieri dietro di noi?

ANTHONY: No, da molti anni.

RIPLEY: Perfetto. Se l’alieno impiega alcuni giorni per deporre le uova la nostra sola speranza è di andarce­ne via da… come si chiama questo posto?

JOHN: Arceon.

ANTHONY: Satellite.

RIPLEY: … prendere la navetta e andarcene via da questo satellite.

JOHN: Non possiamo.

RIPLEY: Non possiamo cosa?

JOHN: Lasciare Arceon. Non possiamo abbandonare la biblioteca…

RIPLEY: Cosa?

JOHN: La ragione per cui siamo tutti qui. Come i monaci che custodivano le biblioteche nelle remote isole inglesi durante la Peste Nera…

RIPLEY: Devono esserci libri anche nelle altre colonie.

JOHN: Alcuni di questi libri sono sopravvissuti all’incendio della Biblioteca di Alessandria. Contengono una conoscenza introvabile altrove: il loro valore è inestimabile. (La sua mano corre sulla costa del libro nella sua borsa.) Noi dobbiamo proteggerli.

RIPLEY (rivolta ad Anthony): Ed un androide che cosa c’entra con tutto questo?

JOHN: È una spia.

ANTHONY: La Compagnia mi ha impiantato qui.

RIPLEY: La Compagnia? Cosa ha a che fare la Compagnia con tutto questo?

ANTHONY: Hanno costruito loro questa prigione.

RIPLEY: Prigione?

JOHN: Colonia.

ANTHONY: Prigione. Sono tutti dissidenti politici.

Ripley guarda John.

RIPLEY: Hai omesso questa parte.

JOHN: L’Ordine era qualcosa di più di una cultura d’opposizione, una reazione alla tecnologia che stava iniziando a sovrastare le vite di tutti. L’idea era semplice: lèggi, non guardare i dischi; cammina, non inquinare di più l’aria. I membri più giovani hanno rinunciato alla tecnologia, cominciando a col­lezionare i libri rimasti. Nessuno se ne sarebbe accorto se non fosse stato per il Virus.

RIPLEY: Il tuo abate ne ha parlato: la Nuova Peste.

ANTHONY: Un virus informatico. A quell’epoca c’era una rete globale che collegava tutti i computer e tutti gli archivi di dati. Il virus attraversò due continenti prima di poter essere fermato.

JOHN: Dopo una paura simile la gente volle tornare alle informazioni scritte. I nostri libri. E così abbandonò gli usi moderni.

RIPLEY: Credo di poter immaginare come sia finita. Rinunciarono a quello che possedevano…

ANTHONY: Era diventata una minaccia!

RIPLEY: … restituendo tutto alla Compagnia.

JOHN: Rifiutarono la tecnologia. Ma un movimento inneggiante alla vita semplice venne subito scambiato dagli agenti federali per un movimento politico di rivolta verso il Governo controllato dalla Compagnia. Troppi interessi in gioco.

RIPLEY: Troppo profitto.

JOHN: Siamo stati etichettati come dissidenti politici, e questo pianeta è la nostra prigione. Tutti gli “ereti­ci” vennero impacchettati coi loro libri e spediti nello spazio. Diecimila uomini. I più vecchi moriro­no velocemente.

RIPLEY: La Compagnia ha un gran senso dell’umorismo, mandandovi in questo posto pieno di legna.

ANTHONY: Io fui mandato con loro per controllare i loro movimenti.

RIPLEY: E come ti hanno scoperto?

ANTHONY: Gliel’ho detto io. Dopo che le navi di supporto smisero di arrivare non vidi il motivo per con­tinuare questa mascherata. Siccome ero un simbolo vivente della tecnologia, mi sbatterono in prigione.

RIPLEY: Benvenuto al club. (Si rivolge a John.) Immagino che non era previsto. Non dovevate essere dei geni per vedere che non era possibile cercare di conservare i lavori scritti dagli uomini per generazioni… senza donne! (John la guarda imbarazzata.) Non so niente di questa Nuova Peste, ma io ero sulla Terra poco tempo fa, e tutto era a posto. (John ha uno sguardo pieno di dubbi.) Non avevo ragione riguardo all’alieno? Potrei aver ragione anche sulla Terra.

La sua logica era inattaccabile.

JOHN: Forse…

RIPLEY: È meglio di niente. Andiamo.

Raggiungono la fine del corridoio. Entrano in un ambiente molto più grande, con grande spazio fra i bloc­chi-celle. Il muro dietro di loro è a nido d’api con corridoi che si aprono.

La stanza è gigantesca e buia. Rimangono fermi ed in silenzio per un momento, stupiti dalla dimensione della stanza. Finalmente:

RIPLEY: Comunque lasciamo perdere per il momento la Terra: chiunque abbia ragione l’importante è usci­re da questo posto. Dov’è la mia navicella?

John indica il soffitto.

ANTHONY: In Paradiso!

RIPLEY: Va bene, e dov’è…?

Anthony e John inchinano la testa.

ANTHONY: Questo pianeta è stato concepito con un concetto medievale dell’universo. Chiamano “Paradi­so” la parte superiore…

JOHN: L’abbazia, i campi…

ANTHONY: La parte inferiore è l’Inferno, dove siamo ora.

RIPLEY: Nome appropriato. E cosa c’è nel mezzo?

JOHN: Il mare.

ANTHONY: Esatto.

RIPLEY: Quanto dista allora la superficie del pianeta?

JOHN: Cinque miglia dal centro.

RIPLEY: Si può usare l’ascensore, o quello che è quell’affare che hanno usato per portarmi giù?

JOHN: No: le corde sono state tagliate.

ANTHONY: È perfetto: prima il mostro blocca le vie d’uscita delle sue vittime, per poi procedere con cura all’eliminazione… Interessante.

RIPLEY: Bene, vedo che cominci ad apprezzarlo più di me, Anthony. Come possiamo salire in superficie?

JOHN: Ci sono delle scale.

Lei si ferma. John ed Anthony fanno ancora alcuni passi poi si fermano e si girano a guardarla.

RIPLEY: Cinque miglia con l’alieno fra noi e la superficie? Buona fortuna, ragazzi!

Si gira e fa per tornare alla sua cella. John l’afferra per un braccio.

JOHN: Tu non puoi…

RIPLEY: Non posso cosa? Evitare di aiutarti ad andare a morire? Ne ho avute già troppe di esperienze simili.

JOHN: Ho bisogno di te: non posso farcela da solo.

RIPLEY: Ho già combattuto queste creature, due volte: è impegnativo lottare contro di loro, ci vorrebbe dell’artiglieria pesante.

ANTHONY: Non abbiamo armi qui.

RIPLEY: Neanche qualcosa da trasformare in arma? Avete niente del genere: qualcosa di moderno qui?

John scuote la testa rassegnato.

JOHN: Abbiamo rinunciato alla tecnologia: sono state proprio quel genere di cose che hanno causato la Peste.

RIPLEY: Questo è un pianeta artificiale, ci dev’essere qualcosa che ricicli l’aria, l’acqua…

JOHN: Dio?

RIPLEY: Ma per favore!

JOHN: Non lo so. Ho dato tutto per scontato.

RIPLEY: Molta gente lo fa. Senza una qualche tecnologia non abbiamo possibilità.

ANTHONY (da dietro di loro): C’è una tecnologia. (John e Ripley si voltano a guardarlo.) Una stanza, una Stanza della Tecnologia, da cui fuoriescono aria ed acqua fresche.

RIPLEY: Un impianto di produzione atmosferico…

ANTHONY: Il cuore ed i polmoni di Arceon.

RIPLEY: E dov’è?

ANTHONY: Un livello sotto il mare sotterraneo.

JOHN: Quindi cinque livelli sopra a questo.

ANTHONY: Dall’altra parte del pianeta.

John guarda Ripley

JOHN: Una possibilità.

Ripley scorre lo sguardo dal volto di John all’oscurità.

RIPLEY: Va bene, mi hai convinto. Ma ad un patto: non so quanti dei tuoi fratelli saranno ancora vivi quan­do saliremo in superficie, ma se raggiungeremo la navicella verrete tutti con me. Porteremo via quanti più libri sarà possibile, ma partiremo. Non combatterò ancora contro questa creatura da sola, capito? (John fa segno di accettare.) Comunque siamo tutti morti in ogni caso. Faremo il possibile per…

Sente una fitta allo stomaco e sembra cadere. Anthony e John la soccorrono.

RIPLEY: Sto bene, sto bene. (Prende un respiro profondo.) Mi sto ancora scongelando. Odio il sonno criogenico… Andiamo.

(continua)


L.

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3 pensieri su “ALIEN 3 by John Fasano (3)

  1. Avevamo un molto più significativo e interessante satellite Arceon, e invece hanno scelto il più banale pianeta Fury 161. Avevamo un ottimo sintetico (Anthony) co-protagonista post-Bishop, e invece hanno scelto di ridurre la presenza androide a un breve scambio di battute tra un irrimediabilmente danneggiato Bishop e Ripley (con tanto di disattivazione definitiva così, per chiudere in bruttezza). E si potrebbe continuare… niente, proprio non si è mai voluto correre il rischio di far raggiungere ad Alien 3 almeno un minimo di decenza 😦

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    • Ha preso il meglio delle varie sceneggiature rigettate solo per cucinarlo malissimo: leggere questi testi fa capire bene quanto ha sbagliato il film di Fincher, sebbene lui comunque abbia fatto un lavoro registico da applauso.

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      • Esattamente: è il film ad avere e ad essere sbagliato, non certo Fincher. E, del resto, anche la sua director’s cut non fa altro che sottolineare ancor di più quali risultati avrebbe potuto raggiungere, se solo le cose fossero andate (molto) diversamente…

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