
Cover di David Michael Beck
Il 13 agosto 2004 esce in patria AVP: Alien vs Predator, scritto e diretto da Paul W.S. Anderson, che arriva sugli schermi italiani il 15 novembre successivo: intanto il 6 ottobre precedente la Dark Horse Comics presenta Alien vs Predator: The Thrill of the Hunt.
Sembra essere un numero unico, un albo di quasi cento pagine concepito per essere già un volume, senza passare per la consueta uscita a puntate.
Ai testi troviamo Mike Kennedy, valida firma della Dark Horse per cui ha scritto la saga di Ghost (1999), Star Wars: Underworld (2000), Aeon Flux (2005) ma soprattutto Lone Wolf 2100 (2002): la sorprendente reinterpretazione fanta-action del mito giapponese di Itto Ogami.
Ai disegni Roger Robinson, che per la casa ha curato Doctor Solar, Man of the Atom (2010) e Darksiders II: Death’s Door (2012).

Su, corriamo tutti nella piramide Maya!
Nelle prime pagine viene presentato quello che potremmo definire l’assunto di partenza della sceneggiatura di Anderson: in tempi non meglio specificati i Predator entrano in una piramide a gradoni e scovano un nido di alieni. Lo scontro è violento e, grazie alle bombe che i Predator si portano appresso, si conclude con l’autodistruzione reciproca.
Saltiamo parecchio avanti nel tempo, ma parecchio di brutto: molto più avanti rispetto al film, che in fondo si svolgeva in tempi a noi vicinissimi.
Distrutta la Terra con un virus informatico (!) ora l’umanità sta terraformando in giro per la galassia. Atterriamo nella colonia gestita da Bill Faulkner, dove c’è un grosso problema etico: sono state trovate forme di vita apparentemente intelligente quindi, teoricamente, bisognerebbe sospendere ogni attività colonizzazione. (È bello che una delle culture più “colonizzante” della modernità si preoccupi di certi dilemmi morali! Anche se solo nel mondo della fiction…)
La “forma di vita” considerata inerte è in realtà un Predator, e come scopriranno presto gli scienziati umani… è tutt’altro che inerte!

Uno scienziato è sempre un valido scudo
Il Predator fugge dalla colonia umana lasciandosi dietro il cadavere di chiunque gli si sia opposto, così scatta la caccia: non sapendo che la caccia è proprio il territorio dove gli umani sono maggiormente svantaggiati.
Scoprono inoltre un’altra specie autoctona: i nostri cari vecchi alieni…

Vengono giù dai fottuti alberi!
Addentrandosi nella foresta gli umani, martoriati dagli attacchi alieni, si rifugiano in una piramide a gradoni – così scopriamo che l’incipit della storia si è svolto su questo pianeta – dove passano dalla padella alla brace… visto che è un nido alieno con tanto di Regina.
Per fortuna erano partiti in tanti così che tutti questi scontri abbiamo una lauta dose di morti ammazzati. Ma l’apoteosi arriva nel finale.

Posta plastica d’azione
Ucciso per un pelo un Predator, il protagonista lo guarda morire e sgancia la “frase maschia”:
Get off my world, you ugly bastard.
Via dal mio pianeta? I Predator sono lì da millenni mentre gli umani sono appena arrivati… Ecco, ora riconosco gli americani!
Il povero sceneggiatore parte con molto handicap, visto che in qualche modo deve riallacciarsi al soggetto filmico di Paul W.S. Anderson, che già di suo non è originalissimo: sia perché è abbastanza banalotto (esiste una grande quantità di fiction in cui si trova qualcosa di alieno sepolto nei ghiacci) sia perché è copiato quasi di peso dall’episodio 5×08 (The Tomb, 17 agosto 2001) della serie televisiva “Stargate SG-1“.
La piramide a gradoni di Anderson e la trama che la circonda è straordinariamente simile alla Goa’uld Tomb televisiva, ma qualche appassionato alienofilo potrebbe ribattere che in Starbeast (1976) di Dan O’Bannon e Ronald Shusett – la storica eccezionale prima stesura di Alien (1979), di gran lunga migliore del suo riassuntino veloce visto al cinema, dovuto alle forbici di Ridley Scott che doveva abbattere i costi – si trovava già la stessa trama: una piramide gigantesca su un pianeta sconosciuto i cui protagonisti entrano ignari e vengono imbozzolati dagli alieni. Esistono molti ottimi bozzetti di piramidi, in esterno ed interno, disegnati in occasione del film e poi scartati tutti dal portafoglio vuoto di Ridley.
Forse la Goa’uld Tomb televisiva si rifà all’idea originale di Alien o forse ci si rifà Anderson, ma di sicuro c’è questo: Starbeast rimane un copione inutilizzato letto solo da pochi appassionati alienofili, invece l’episodio di “Stargate SG-1” è andato in onda ed è noto agli appassionati di fantascienza. Chiunque ci si rifaccia senza dichiararlo… sta copiando!

La Goa’uld Tomb, prima che Paul W.S. Anderson la saccheggiasse!
In tutto questo, Kennedy deve cercare di tirar fuori un fumetto “legato ma slegato”, perché non venga confuso con una semplice novelization a fumetti. Così piglia la piramide e la sbatte in giro per l’universo, non spiegando perché sia lì: sono gli alieni che costruiscono nidi a forma di piramide a gradoni? E come lo fanno, visto che non hanno altra occupazione nella loro vita se non uccidere?
Diciamo che la forza del fumetto è tutta puntata sulla parte umana e sugli infiniti scontri inter-specie, così da lasciare un po’ in disparte spiegazioni che l’autore non sembra in grado di fornire.
Comunque Kennedy tornerà ancora nel mondo alieno, e vedremo come se la caverà.
Scopro che questo fumetto è stato pubblicato in Italia, con la traduzione di Giorgio Saccani (Comma 22), edito da MagicPress (MP Book n. 70, gennaio 2008) sotto la direzione del mitico Daniele Brolli. Il titolo è Alien vs Predator: il brivido della caccia.
L.
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Come già avevo detto di là, lo recuperai a Cartoomics qualche anno addietro: ecco, magari sarebbe stato il caso di lasciare un po’ meno in sospeso le parti in sospeso, anche se nell’insieme comunque rimane nient’affatto male…
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Potrei azzardare l’ipotesi che fosse previsto più lavoro su un nuovo universo AVP, usando il film come lancio di nuove storie con le stesse idee di base, ma temo che sia naufragato tutto visto che questo rimane un fumetto singolo…
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