PREDATOR SENZA GLORIA (fan fiction) 16


Sedicesima ed ultima puntata della mia fan fiction, ambientata nel mondo dei Predator caduti in disgrazia.
In attesa che questo autunno la Titan Books presenti un’antologia di racconti sui Predator, ecco una storia inedita dei celebri alieni Fox.

PREDATOR
SENZA GLORIA

16

L’urlo di Wolf proveniva da ogni anfratto del suo corpo. Non era un urlo di dolore: era un urlo di rabbia e umiliazione. Era il signore della galassia, da tempo immemore scorazzava in lungo e in largo senza che nessuno avesse mai osato contrastarlo. E ora… Ora dei vecchi buffoni malandati erano stati così pazzi da aggredirlo… e ferirlo.

Agitava il braccio ferito come a tentar di spegnerne il fuoco, come se davvero ci fossero delle fiamme che lo stessero lambendo: il fuoco in realtà era dentro, e lo stava divorando. Ciò che rimaneva del suo braccio destro non era altro che una protuberanza di carne martoriata e fumante.

Metà del suo volto aveva perso completamente sembianze riconoscibili, ma non era quello il problema: l’ustione penetrava sempre di più in profondità e il dolore cresceva a livello esponenziale. Non era così che aveva sognato sarebbe finita la sua caccia…

City Hunter non aveva tempo di contare quanti altri Bad Blood fossero usciti dall’astronave di Wolf: non erano tanti ma lo stesso era un’informazione ininfluente. Era morto, questo era chiaro, rimaneva solo da assicurarsi un ulteriore ultimo colpo. Afferrò il lungo pugnale che portava alla cintura e in pochi rapidi passi raggiunse Wolf, per conficcarglielo completamente nel fianco ustionato. City Hunter avrebbe voluto provare la sensazione della lama che penetrava nella carne del suo nemico, del sangue verde che ne sarebbe sprizzato fuori, ma non poté farlo: riuscì solo a dare il comando al suo braccio di pugnalare Wolf, e un attimo dopo i Bad Blood aprirono il fuoco su di lui. Tutti insieme.

L’urlo di Wolf fu potente, primordiale, carico di ogni briciolo di potenza Yautja nascosta nelle sue cellule. Il più infame dei suoi nemici, quello che gli aveva provocato il dolore che lo stava divorando, se l’era cavata: era morto in un lampo, crivellato da decine di colpi, ed ora il suo corpo straziato giaceva a terra. Quel cane era crepato senza un lamento, mentre lui, il capo incontrastato dei Bad Blood, il più grande criminale che l’universo avesse mai conosciuto, stava gridando come una quella bestia ferita che in effetti era.

Nel suo agitarsi Wolf cominciò a pestare il cadavere di City Hunter, ricoperto di sangue: la rabbia impotente lo spingeva comunque a fare scempio del suo nemico. Almeno finché non ne arrivò un altro. Uno vivo…

Achab era arrivato alle spalle di Wolf e aveva raccolto da terra la lancia che il criminale aveva usato per trapassare Jungle: era il modo perfetto per vendicarsi. Premette la lancia nella schiena del Bad Blood con ogni singolo briciolo di forza che gli era rimasta nei muscoli. Cioè niente.

Nell’oceano di dolore in cui Wolf stava rantolando non fu neanche notato quello proveniente dal fianco in cui si era appena conficcata la lama della lancia: una ferita del tutto ininfluente, in mezzo alle altre che stavano torturando il criminale. Si girò più per istinto che per altro, e così facendo spinse via la lancia dalle mani di Achab, visto che la lama rimaneva conficcata nel fianco dov’era penetrata solo in parte.

Nel delirio gorgheggiante che fuoriusciva dalla gola di Wolf si riuscirono a distinguere solo alcune parole. «Ti stavo aspettando.» Agitò la mano sinistra alla volta dei suoi Bad Blood. «Non sparate: questo è mio… Sconterà lui per tutti gli altri…»

~

Trasportare il cadavere di Scar sull’astronave non era stato affatto facile, e per fortuna era un giovane Yautja molto più piccolo rispetto ai suoi compagni. Nessuno dei coloni che le erano passati davanti aveva aiutato Machiko, ma lei non se l’aspettava di certo.

La nave era appena partita e la donna fissava la parete davanti a lei. Era totalmente annientata e ogni pensiero le faceva male, ogni ricordo era una fitta dolorosa. Stava usando la forza rimastale per impedirsi di pensare. Di pensare che la sua missione di raccontare la storia dei sette guerrieri sembrava più una fuga. Una delle tante della sua vita. Fissava il vuoto sperando che il vuoto entrasse dentro di lei e le concedesse un po’ di pace da ogni pensiero.

«Certo però che potevate aspettarci, cazzo», stava urlando un colono rivolto all’altro, seduti a pochi metri da Machiko. «Invece vi siete subito chiusi dentro e noi siamo rimasti nella miniera a fare i topi in trappola.»

«Sapevate benissimo qual era la procedura, se fosse toccato a voi non ci avreste aspettato, quindi vediamo di non fare i santarellini.»

«Abbiamo visto Wolf con largo anticipo: avevate tutto il tempo di farci entrare nel rifugio, e invece no. Sapete quanti sono morti? Sapete quanti ne hanno torturati?»

La concentrazione di Machiko non riusciva ad isolarsi. Che vuol dire che hanno visto Wolf in anticipo? cominciava a chiedersi, ma non voleva pensarci.

«Stavolta la Compagnia non se la cava facilmente: eravamo tutti d’accordo a fare da esca a quel mostro, ma non a costo di vedere i nostri amici e parenti massacrati come animali.»

Non voleva badarci, non voleva pensare, eppure Machiko si voltò di scatto. «Che cosa vuol dire che avete fatto da esca?» chiese di getto a chi stava parlando.

I due uomini si voltarono di scatto, come se solo in quel momento si fossero accorti della presenza della donna, vestita come una guerriera Yautja. Ci fu un attimo di esitazione e uno degli uomini si stava già girando di nuovo, intenzionato a non rispondere, mentre l’altro – il più agitato – parlò a voce alta. «Siamo una colonia finita, così la Compagnia ci ha usato per creare un incidente diplomatico con gli Yautja amici della Yutani. Dovevamo lamentare la distruzione della miniera per riscuotere l’assicurazione e risollevarci, poi la Weyland avrebbe avuto la scusa per accusare la Yutani di connivenza con un pericoloso nemico, o che so io: qualche impiccio politico del genere. Però non ci sono stati solo danni fisici», continuò rivolto all’altro uomo, «ci sono stati massacri vergognosi.»

«Perché stai raccontando tutto a una sconosciuta? E se ora quella va a denunciarci alla Yutani?»

Machiko aveva smesso di ascoltare. Troppo schifo, troppa merda. Troppa umanità.

La parete non bastava più, doveva scacciare ogni umanità dal proprio essere, per non doversi vergognare così tanto di una razza infame. Così si chinò sul corpo di Scar e cercò l’appunto con il nome del suo clan. Voleva pensare a cose Yautja, voleva pensare all’altra sua natura, quella vera, quella che non voleva più tradire. Ora era una Blooded Warrior di nuovo e stavolta avrebbe preferito vivere sola su un pianeta deserto che perdere questo rango per colpa degli umani.

Machiko frugò nelle tasche di Scar e trovò l’appunto. Un piccolo foglio, proprio come lei consigliava ai suoi clienti: sicuramente i cadaveri degli Yautja sarebbero stati trovati da umani quindi avrebbero dovuto usare il loro sistema di scrittura, per farsi riportare in seno al proprio clan. La donna aprì il foglietto e lesse il nome del clan di Scar.

C’era una sola scritta.

C’era un solo nome.

«Machiko

Tutto si smorzò intorno alla donna. Tutto tacque.

Scar aveva rinunciato per sempre ad essere riabilitato. Il suo vero nome non l’avrebbe mai ricordato nessuno e il suo nome di battaglia sarebbe rimasto ignoto per sempre. Aveva rinunciato all’onore. Aveva rinunciato alla gloria. Aveva rinunciato alla memoria. Tutto pur di dimostrare la sua appartenenza a Machiko. All’unico essere vivente che aveva avuto cura di un Predator senza onore…

Arriva un momento in cui tutto finisce.

Ma arriva anche un momento in cui tutto inizia.

E tutto inizia con il sangue.

«Mi sa che il mio amico ha parlato troppo», stava dicendo un colono. «Capisci che non possiamo lasciarti andare in giro a rivelare certi particolari, visto che non sappiamo chi sei.»

I due uomini si stavano avvicinando ma Machiko non sembrava accorgersi di loro.

«Niente di personale, ma capisci che c’è troppo in ballo per metterlo a rischio. Quindi facciamo che fra tante vittime… ce n’è una più…»

Solo allora Machiko si girò e, accucciata per terra vicino a Scar, guardò i due uomini dal basso. «Una in più? Facciamo due…»

Prima che i due uomini potessero rendersi conto di quello che stava accadendo, Machiko aveva afferrato il manico della spada che portava legata sulla schiena sin dall’inizio della missione e la lama snudata aveva già tagliato le ginocchia di entrambi i coloni. Probabilmente caddero gridando, ma la donna non se ne accorse.

«Nel passato, sulla Terra, il mio popolo si è trovato aggredito da un nemico superiore, enormemente superiore», cominciò a parlare Machiko, con voce alta ma neutra, alzandosi lentamente e cominciando a camminare. «Si preparavano a morire, perché non in grado di affrontare quel nemico, finché accadde qualcosa di inaspettato.» La donna procedeva mentre i coloni gridavano accanto a lei. «Un forte vento si alzò sul mare e le navi del nemico vennero spazzate via. Così» e Machiko con rapido gesto tagliò la testa di un colono che si era avvicinato per aggredirla.

Mentre il corpo cadeva e tutti gridavano, la donna continuava a camminare e a parlare, alzando la voce perché tutti sentissero. «Da allora il mio popolo ha spesso affrontato nemici di gran lunga superiori, e ogni volta ha invocato l’aiuto di quel vento sacro che tutto vince.» Raggiunta la cabina di pilotaggio, usò il manico della spada per bussare, mentre intorno a lei uomini e donne la fissavano urlanti. «Sapete come chiamavano i miei avi, nella loro lingua, quel potente vento sacro?»

Uno dei piloti aprì la porta… e Machiko lo decapitò.

«Kamikaze

~

Perdere l’occhio non fu doloroso come si sarebbe aspettato. In realtà lo shock che dominava il fisico di Achab gli evitava per il momento troppe sollecitazioni nervose, sicuramente il dolore sarebbe arrivato dopo, e potente. Se fosse stato fortunato non ci sarebbe stato alcun “dopo”, ma Wolf era troppo intenzionato a torturarlo per lasciarlo morire in fretta.

Il potente criminale gridava, non riusciva più a star zitto, anche se ormai si limitava a gorgogliare visto che le corde vocali erano lese dall’ustione e dallo sforzo.

«Questo è solo l’inizio», sibilò ad Achab, mentre continuava a picchiarlo con l’unica mano buona rimastagli.

«Capo», disse uno dei Bad Blood.

Wolf si voltò indispettito. «Che vuoi? Avete riparato la nave?»

«Ancora no», si scusò lo Yautja. «Ma a proposito di navi, ce n’è una che ci viene contro.»

Wolf fissò il Bad Blood per qualche secondo. «Che cazzo vuol dire?»

«Che c’è una nave che ci sta venendo contro», disse l’altro senza emozione.

«Non ti ho chiesto di ripetere, idiota, ti ho chiesto di spiegare.»

Lo Yautja pensò per qualche secondo, poi rispose sempre con lo stesso tono: «Non trovo un altro modo per avvertirti che c’è una nave che ci viene contro.»

Wolf gli fu addosso e lo afferrò al collo. «Ti rendi conto che siamo a terra? Non stiamo volando nello spazio: mi spieghi esattamente come può una nave venirci contro?»

Lo Yautja, rantolando, alzò una mano ad indicare un punto alle spalle di Wolf. «Così…»

Il criminale si voltò lentamente… e rimase alcuni istanti a fissare, con l’unico occhio rimastogli, il cielo che cadeva. Con la gola in fiamme, riuscì solo a bisbigliare: «Ma chi cazzo è questa gente?»

~

L’astronave della colonia non era grande, era un vecchio cargo adattato al trasporto di merci e persone per tratti medi, ma lo stesso quando arrivò a volo radente sulla colonia il mondo cominciò ad esplodere.

Gli anni passati nella Compagnia avevano insegnato a Machiko come guidare molti tipi di veicoli, e per fortuna quella nave era abbastanza vecchia da essere semplice da pilotare. Entrata nella cabina di comando, neutralizzati i piloti e sigillata la porta, la donna aveva virato violentemente ed era tornata giù per la stessa strada seguita finora. Si abbassò di quota fino a passare radente sui tetti delle case, diretta verso l’astronave Yautja.

Tutta la colonia iniziò ad esplodere al passaggio della nave, facendole perdere solamente una piccola percentuale della velocità acquisita, una velocità che comunque impedì agli Yautja qualsiasi movimento. Il tempo di capire cosa stesse accadendo… e la nave arrivò a destinazione.

I danni provocati dai tetti delle case furono ingenti, ma tanto non era previsto alcun ritorno: era un viaggio di sola andata verso l’inferno. Sin dal primo danno la nave cominciò a perdere carburante che subito prese fuoco, inondando la colonia di fiamme liquide che avrebbero a breve fatto esplodere tutto ciò che poteva esplodere. Era questione di secondi prima che “Shimada’s Hope” diventasse una gigantesca palla di fuoco.

Gli Yautja rimasero fermi, sia perché non ebbero il tempo di comprendere a pieno cosa stesse accadendo – nella loro lunga carriera mai avevano trovato un umano disposto ad un sacrificio così devastante – sia perché non aveva più senso muoversi: se non li avesse uccisi l’impatto, li avrebbe uccisi l’esplosione successiva. O le fiamme liquide che stavano inondando tutto a gran velocità. I più fortunati furono quelli che vennero schiacciati dallo scontro fra l’astronave dei coloni e quella Yautja.

L’impatto dell’enorme massa ricoperta di combustibile ardente fu devastante, e un secondo dopo tutto esplose, spazzando via qualsiasi forma di vita nei paraggi, inondando di fuoco liquido decine di metri circostanti. In pochi secondi non c’era più alcuna colonia umana, non c’era più alcuna astronave Yautja, non c’era più alcun Bad Blood. Non c’erano neanche più i cadaveri dei Predator senza gloria che avevano osato sfidare il gigante…

Sopito il boato rombante che aveva riempito l’aria, ora rimaneva solo il crepitio delle fiamme… e l’urlo di Wolf.

L’enorme Yautja uscì dalla piccola costruzione in cui all’ultimo secondo era riuscito a ripararsi, una piccola struttura a pochi metri che, lontana dall’impatto, era riuscita a proteggerlo dall’inondazione di carburante liquido. Il suo scatto era stato dettato più da un istinto sviluppato in decenni di cacce piuttosto che ad un pensiero razionale. E anche essere stato un torturatore per così tanto tempo gli aveva sviluppato una certa prontezza di riflessi: insieme a sé, al riparo, si era portato Achab. Un torturatore non concede mai alla propria vittima una morte veloce e pietosa.

«Ti sarebbe piaciuto morire in fretta, eh?» stava rantolando Wolf alla volta di Achab, gettato a terra in un piccolo spazio fra le fiamme che ormai avvolgevano tutto. «Lo ammetto, vi ho sottovalutato, ma ormai è finita. Ora siamo solo tu ed io, con a disposizione solo il poco tempo che ci resta da vivere: vediamo di sfruttarlo bene.» Agitò il proprio braccio, ridotto ormai ad un moncherino fumante, davanti alla propria vittima. «Ti farò scontare tutto il dolore che ho subìto, e ti farò rimpiangere quello che mi avete fatto al braccio.»

Achab lo guardava rimanendo sdraiato a terra, completamente privo di forze anche per colpa del sangue che stava perdendo dalle ferite infertegli. Fissò Wolf… poi rispose con uno strano sorriso sul volto. «Quale braccio?»

Come poteva scherzare in un momento come quello? Wolf si infuriò ancora di più, finché con la coda dell’occhio vide qualcosa volare via. Qualcosa di strano eppure di familiare. Qualcosa che… Possibile che quello fosse il suo braccio ustionato? Era maciullato eppure poteva riconoscerlo, lo stesso la sua mente non riusciva a capire: perché ora il suo braccio stava volando via?

Girò leggermente la testa e vide fiotti di sangue verde spillare dalla propria spalla, dove prima c’era il suo braccio. Ancora non riusciva a capire, non riusciva a focalizzare, i suoi pensieri schizzavano in ogni direzione senza riuscire a trovare un filo da seguire. La sua mente era appannata, e cominciò a ritrovare un minimo di chiarezza quando si voltò ancora di più… e vide Machiko a pochi passi da lui. Con la spada impugnata.

Wolf la guardò e se da una parte riuscì a capire che era stata lei a tagliargli via il braccio, lo stesso la situazione non era chiara: perché quella femmina umana stava lì? Perché era vestita quasi fosse uno Yautja? Perché lo stava sfidando?

«Chi… cazzo… sei… tu?»

La donna rispose con tono neutro. «Sono la fine di questa storia.»

~

Machiko era ricoperta di sangue e sotto il sangue era ricoperta di liquidi. L’astronave era un modello vecchio e soprattutto non era pensata per viaggi spaziali, bensì per spostamenti interplanetari. Sarebbe stato un problema raggiungere un altro pianeta – visto che la nave serviva solo per superare l’atmosfera e raggiungere una nave più grande – ma non era stato un problema farla schiantare sulla colonia e distruggere tutto. E poi essendo una nave prevalentemente terrestre aveva qualcosa di insperato: un sistema di eiezione per i piloti. Subito dopo la prima esplosione, Machiko si era legata al sedile e si era espulsa, volando fin sugli alberi ai lati della colonia: un piccolo paracadute aveva attutito la caduta ma lo stesso si era provocata molte ferite.

La donna comunque non sentiva alcun dolore, la sua concentrazione era totale e ora l’unica emozione che provava era di totale fusione con la propria spada. No, in realtà non era una fusione: era un annullamento. Un guerriero non usa la propria spada, un guerriero si annulla in essa: un guerriero è la propria spada.

La paura, lo sconforto e il dolore di prima sarebbero stati un impedimento, le sarebbe stato impossibile sfoderare la propria katana in quelle condizioni. La madre le aveva insegnato che quando un guerriero estrae la spada, in quel gesto è già presente il destino proprio e del suo avversario: se non si è nella giusta disposizione d’animo, se non si è disposti ad accettare quel destino, è molto meglio non snudare la lama. Ora Machiko era pronta, ora aveva superato ogni sentimento ed emozione: ora era nulla, quindi poteva lasciare la propria spada libera di agire.

Era immobile, davanti a Wolf, e gli indicava qualcosa. Il Bad Blood capì che stava indicando la sua cintura: lo stava incitando ad estrarre anche lui la spada che portava legata al fianco. Wolf non girava mai disarmato, ma certo quelle lame le teneva più per ornamento che per altro. In ogni caso fissò stranito la donna. «Vuoi davvero sfidarmi? Pensi che se anche afferro la mia spada saremo ad armi pari?»

Machiko lo fissava senza alcuna espressione, tenendo la sua katana puntata verso di lui. «Non uccido chi è disarmato: sono una guerriera, non un Bad Blood.» Non era questione di razza umana o Yautja: l’onore era insito nell’essere guerrieri. Gliel’aveva insegnato sua madre, discendente di nobili donne guerriere, che da tempo immemore avevano combattuto con onore. Quando Machiko aveva conosciuto il codice Yautja, in realtà aveva ritrovato qualcosa a lei molto familiare.

Wolf non poté fare a meno di sghignazzare. «Tu non sei niente, anzi peggio: sei un’umana. Come osi chiamarti guerriera?» Machiko non mosse un ciglio. «Sono tre volte più grande di te, e dieci volte più potente, anche da ferito: pensi che io abbia bisogno di una spada… o di due braccia per ucciderti? Vuoi sfidarmi? E allora mi basterà il mio braccio sinistro per massacrarti.»

Non aspettò la risposta e Wolf partì con un pugno in direzione di Machiko, un colpo a spazzare che sarebbe stato in grado di staccarle la testa se l’avesse presa. Se l’avesse presa. Machiko non dovette muoversi molto, le bastò scansarsi di un passo dalla traiettoria e lasciare che la katana parlasse per lei: la spada sguisciò agile e si aprì la sua strada nella carne dello Yautja. Altro sangue verde ricoprì il terreno, mentre Wolf caracollava: la lama di Machiko gli aveva appena leso un tendine del ginocchio sinistro. Il dolore era accecante, ma quel che peggio era che ora non aveva più il controllo della gamba.

«Afferra la tua spada», urlò Machiko, «o dovrò smantellarti una fetta alla volta.»

Wolf zoppicava sull’unica gamba rimastagli, mentre fissava la donna che lo stava minacciando: sebbene ricoperta di sangue, i suoi occhi fiammeggiavano. «Chi l’avrebbe mai detto?» gracchiò il Bad Blood, «che alla fine della corsa sarei stato battuto da un insetto umano. E femmina, per lo più.»

Machiko non cadde nella provocazione, non reagì come avrebbe fatto in un’altra occasione: era un patetico tentativo dello Yautja morente di farle perdere il controllo. Non ci sarebbe riuscito. Non ora, che la donna era tutt’uno con la propria spada.

Wolf grugnì, ormai provava così tanto dolore in ogni parte del corpo che stava per perdere i sensi. Almeno questa umiliazione volle evitarsela. Ma non prese la spada che portava al fianco: fissando negli occhi la sfidante, afferrò lo spunzone di lancia che ancora gli fuoriusciva dal fianco, dove l’aveva infilata Achab. Estrasse lentamente la lama – tanto ormai in mezzo a quel dolore non distingueva più quello nuovo da quello vecchio – e alla fine impugnò la lama ricoperta di sangue verde. Apparteneva ad una grande lancia Yautja, quindi solo la lama era grande quanto una piccola spada. E con essa si gettò contro Machiko. Era palesemente un tentativo fasullo, il cui unico scopo era mettere fine a quella situazione. Mettere fine al dolore.

Wolf non meritava alcuna pietà, ma Machiko era una guerriera, non un macellaio. La sua katana vibrò e scattò, parando il colpo dello Yautja per puro rispetto nei confronti di un guerriero che aveva accettato il combattimento pur sapendo che avrebbe perso. Il suo destino era già scritto sulla lama di Machiko, sul sangue verde che già in parte la ricopriva e sul sangue rosso delle mani che la impugnavano. Wolf aveva l’occasione di morire in azione, con l’onore di un guerriero, anche se era un onore che non meritava vista la sua vita criminale. Era una concessione che non proveniva da Machiko: proveniva dalla katana.

Lo Yautja calò dei colpi potenti che la donna poté agilmente schivare, perché pesando tre volte di meno dell’avversario era facile svicolargli. E la lama la proteggeva sempre. Bastava impugnarla come la sua famiglia le aveva insegnato, bastava trattarla con il rispetto che le era dovuto e la forza che bisognava dimostrarle: mai mostrarsi deboli con la propria katana. Glielo ricordava sempre suo padre, che non l’aveva mai considerata una guerriera, piuttosto una ragazzina che giocava con i giocattoli dei maschi. Aveva sofferto a lungo e si era allenata duramente per riuscire a dimostrare al padre quanto valeva, che nelle proprie vene scorreva il sangue delle onna-bugeisha, le donne guerriere da cui discendeva la madre. La morte del padre aveva reso impossibile fargli cambiare idea, gettando Machiko nella disperazione: sarebbe rimasta per sempre una ragazzina. La madre non cercò di consolarla, si limitò a dirle che tutto questo apparteneva alla storia della katana: doveva lasciare quel dolore imprigionato nella sua lama e sigillarne il fodero. Quando un giorno l’avrebbe snudata, la lama avrebbe ricordato tutto quel dolore, tutta quella frustrazione e tutte quelle lacrime… e le avrebbe tramutate in sangue.

Rantolando, Wolf sferrò un nuovo potente colpo… e la katana di Machiko decise che era tempo di compiere il proprio destino. Con un colpo recise la mano armata del Bad Blood e poi, penetrando nelle carni agilmente, come se non trovasse alcuna resistenza, lo decapitò. La testa rimase qualche attimo in bilico sul collo, prima che il rilassamento dei tessuti fece crollare Wolf a terra come fosse un sacco di carne tremolante.

Machiko rimase immobile a fissare il proprio avversario. Questo era il momento peggiore per ogni guerriero: il momento in cui la fine della missione lascia un vuoto bruciante dentro di sé. L’obiettivo di un guerriero è la morte: la vittoria è solo una tappa amara e solitaria.

~

«Ce ne hai messo di tempo.»

Achab era divertito e soprattutto era contento di poter vedere di nuovo Machiko. Questo non cambiava il fatto che non riusciva più ad alzarsi. Troppe ferite, troppo dolore, troppo di tutto.

La donna si sedette per terra, al suo fianco, incrociando le gambe e posando la sua katana con dolcezza al suo fianco. L’aveva riposta nel fodero, perché assorbisse in sé il sangue che aveva versato e il dolore che aveva acquisito.

«Sai che è la prima volta, in tanti anni, che ti vedo tirar fuori quella lama dal fodero?» disse Achab.

Machiko annuì. «Te l’ho detto, la lama della propria katana si snuda solo per farle bere sangue. Estrarla senza la giusta condizione dell’animo è un sacrilegio, oltre che inutile: serve solo a farsi ammazzare.» Guardò la spada. «È molto antica, molto più di noi e di questa colonia e forse della Compagnia stessa: è stato un onore per Wolf essere ucciso da una lama del genere. Un onore che non meritava.»

«E io?» chiese d’un tratto Achab. «Io merito questo onore?»

Machiko scattò a fissarlo, stupita. Era l’ovvia conseguenza, quasi scontata. Aveva concesso a quella bestia criminale di Wolf di morire rapidamente e con onore… Non poteva negarlo ad Achab… «Ti prego, non dirlo neanche per scherzo. Abbiamo ben due astronavi con cui andarcene, quella di Celtic e la nostra, entrambe perfettamente funzionanti.»

«Sono troppo lontane, per me, lo sai…»

«Ho trascinato il peso morto del cadavere di Scar: posso trascinare il tuo, vivo.»

«Machiko…»

Il silenzio calò fra di loro. Achab, sempre sdraiato immobile, continuò. «Hai fatto proprio un bell’incendio, solo che quando si estinguerà arriverà il freddo…»

«Facciamo così», disse la donna. «Rimaniamo qui ancora per un po’… e vediamo che succede.»

Machiko si sistemò a guardare l’incendio che divorava la colonia, con le fiamme che avevano un innegabile effetto rilassante, e i due rimasero in silenzio per un po’. Finché Achab non riprese la parola. «Machiko… stai sanguinando…»

La donna, che fissava il fuoco fra le lacrime, silenziosamente cominciò a ridere. Finché non rispose. «Non ho tempo di sanguinare…»

FINE

(A presto per le fonti e i retroscena)

– Altre puntate:

5 pensieri su “PREDATOR SENZA GLORIA (fan fiction) 16

  1. Gran finale con sorpresa amarissima quali ne può riservare la bastarda Compagnia, esplosiva ed onorevole resa dei conti e DOPPIA citazione (per un attimo, guarda un po’, in Machiko ho intravisto MacReady… e un attimo dopo c’era addirittura Blain 😉 )… manca all’appello Bishop: chissà che, alla fine, in mezzo a botti multipli e scontri all’ultimo sangue, lui non l’abbia poi avuto il tempo per scansarsi 😉

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    • Qualche filo in sospeso dovevo lasciarlo, non si sa mai 😛
      Sapevo che avresti colto la cosa sulla Cosa, è stata un’ispirazione dell’ultimo secondo e non ho proprio saputo resistere ^_^
      Di solito tendo all’happy ending, ma nella fan fiction ho riscoperto la potenza della tragicità. Mi affeziono a tutti i personaggi e vorrei che fossero sempre felici, ma è innegabile che il destino tragico ha una potenza inarrestabile, come insegnano quattromila anni di letteratura…

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    • Ora vorrei riposarmi un attimo che dopo quasi un anno di fan fiction a getto continuo sono un po’ provato… ma purtroppo ho già un’idea che da qualche giorno non mi lascia in pace, quindi mi sa che il riposo durerà molto poco 😛

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